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«I paesaggi come mosaici di culture»

Intervista Angela Barbanente sarà tra i relatori del «Festival delle culture e del paesaggio» che si tiene a San Severo (Foggia) da domani a domenica. Tra poesia, arte, cultura ed ecologia integrale

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 26 maggio 2022

Architetti, poeti, fumettisti, tecnici, pittori, fotografi, studiosi, scrittori, analisti, giornalisti saranno ospiti del primo Festival delle culture del paesaggio a San Severo, in provincia di Foggia, da domani a domenica. Durante l’evento verrà presentata la Carta del mosaico di San Severo, un documento innovativo che concepisce il paesaggio come strumento per costruire una nuova comunità. Tra i relatori sarà presente Angela Barbanente, docente di pianificazione territoriale e ambientale del Politecnico di Bari, già assessora alla Qualità del territorio della Regione Puglia dal 2005 al 2015.

Professoressa, il Festival di San Severo arriva nel centenario del primo convegno italiano sul paesaggio, avvenuto a Capri nel ’22. Cosa rappresentò quell’evento e com’è cambiata oggi la concezione di paesaggio?

Quel convegno fu organizzato dal sindaco di Capri, Edwin Cerio. L’iniziativa scaturì in un contesto in cui l’idea di paesaggio era molto diversa da quella che noi cerchiamo di promuovere attualmente. Era fondata sulla bellezza del paesaggio. Questa tradizione estetica in Italia continua ad essere al centro di molte pratiche di tutela del paesaggio. Ed è quella alla base delle prime leggi che risalgono a inizi del ‘900. Come è noto, anche la Costituzione, all’articolo 9, tutela il paesaggio. Ma questo non ha impedito che il paesaggio italiano fosse saccheggiato e degradato. Con la Convenzione europea del paesaggio, approvata a Firenze nel 2000, è stato esteso il significato del vocabolo paesaggio facendolo corrispondere con ogni parte di territorio e quindi non solo i paesaggi di straordinaria bellezza, ma anche le aree urbane, le campagne, i territori della vita quotidiana e perfino quelli degradati. Oggi al centro della nostra attenzione non c’è più solo l’aspetto estetico ma anche quello ecologico.

Che differenza c’è tra paesaggio, territorio e ambiente?

Sono diverse facce della stessa medaglia. Oggi abbiamo una concezione del paesaggio che coinvolge profondamente la dimensione ambientale: secondo la convenzione il carattere del paesaggio deriva dall’azione di fattori naturali e umani fra loro interrelati. Il paesaggio è rappresentazione sociale del territorio, ed implica la dimensione soggettiva, lega profondamente l’oggetto al soggetto. Il paesaggio si è fatto territorio. Non è solo godimento, armonia, ma è anche il contesto dove i conflitti si sviluppano. Questa evoluzione del modo di pensare ha riguardato anche il campo ambientale. Noi esseri umani siamo parte integrante dell’ambiente. Se il paesaggio è rappresentazione e percezione con i cinque sensi del territorio allora soggetto e oggetto sono profondamente compenetrati. Questo non significa che non vi possano essere dei conflitti tra visione paesaggistica e visione ambientale.

Lei ha presieduto l’assessorato alla Qualità del territorio della Regione Puglia per dieci anni, durante i quali è stato approvato il Piano paesaggistico territoriale regionale.

Quello pugliese è il primo approvato in Italia. L’idea del Piano nasce dalla consapevolezza della straordinaria varietà dei paesaggi pugliesi, la Puglia delle Puglie, e dei rischi che i paesaggi correvano. Era necessario che la Regione si occupasse di tre aspetti: la tutela, la valorizzazione e la riqualificazione. Difendere il paesaggio. Attribuirgli valore, a partire dalla dimensione geomorfologica. E poi riqualificarlo, perché negli ultimi decenni lo abbiamo trasformato in maniera molto intensa con processi di urbanizzazione spesso devastanti. Da qui la necessità di fermare lo scempio, ma non per rendere immobile il paesaggio perché esso è in costante mutamento. È il risultato di trasformazioni plurimillenarie dovute soprattutto all’attività antropica. Il problema è che l’azione umana ha perso la consapevolezza della struttura del territorio, dei suoi equilibri, delle sue regole. Da tutto ciò è scaturita la redazione del Piano.

Com’è stato pensato?

Si chiama Piano paesaggistico territoriale per sottolineare l’indissolubile relazione tra paesaggio e territorio. Alberto Magnaghi, fondatore e presidente della Società dei territorialisti e delle territorialiste, è stato il coordinatore scientifico e nella relazione introduttiva scrive che il Piano è «un evento culturale». Non è solo uno strumento tecnico, è un atto politico. Se non è condiviso dal punto di vista culturale, il piano è votato al fallimento. L’idea stessa di sviluppo in Puglia era stata a lungo fondata sull’accettazione di qualsiasi investimento. La sfida del Piano era di far penetrare un’idea diversa di paesaggio, assieme a una diversa idea di sviluppo, coinvolgendo nella sua elaborazione gruppi, associazioni, cittadini. Mi spiace che ancora oggi la pianificazione del territorio venga percepita solo come un insieme di regole che ostacolano lo sviluppo. Non è così.

Durante il Festival lei parlerà del «Patto città campagna». Di cosa si tratta?

È uno dei cinque progetti territoriali inclusi nello Scenario strategico del Piano. Contiene una serie di misure finalizzate a sostenere lo sviluppo delle attività agricole e valorizzarne le potenzialità per attivare nuove relazioni di reciprocità tra città e campagna, a vantaggio della qualità della vita urbana e del territorio rurale. Gli elementi costitutivi del patto sono i «ristretti», ovvero nella tradizione pugliese gli spazi di confine tra la città e la campagna. L’idea è di trasformare la doppia marginalità delle periferie urbane e della campagna periurbana; di riqualificare queste aree, potenziandone le funzioni ecologiche, idrogeologiche ma anche socioculturali, ricreative, agrituristiche. Poi ci sono altri tre elementi costitutivi: i parchi agricoli multifunzionali di valorizzazione, localizzati dove la campagna ha conservato qualità, e di riqualificazione, dove la campagna ha subito o un sovrasfruttamento delle risorse o l’abbandono. Infine i parchi Co2, in prossimità dei grandi poli industriali, per la rigenerazione ecologica degli insediamenti e la bonifica dei suoli degradati.

Venendo invece al «Mosaico di San Severo». Che cos’è?

Il Piano paesaggistico della Puglia si fonda su un’interpretazione identitaria dei paesaggi di Puglia. Nel caso di San Severo, si parla di mosaico per la varietà di colture che caratterizza il paesaggio: oliveti, vigneti, frutteti lo differenziano dal resto della Capitanata come fossero le tessere di un mosaico. A partire da questa figura, a livello locale è nata un’idea che ha coinvolto l’architetto Fabio Mucilli e il poeta Enrico Fraccacreta che si sono interrogati sulla consapevolezza sociale di questo carattere identitario e su come riannodare i fili di un rapporto fra la città e il paesaggio agrario allentatosi negli ultimi decenni. È nato così un percorso che dura ormai da otto anni coinvolgendo gli abitanti, soprattutto i più giovani, con le scuole, e artisti, poeti, storici, imprenditori e tecnici locali e non locali, nella conoscenza e rigenerazione del territorio. Questa è l’essenza dell’idea della Carta del mosaico che ha come obiettivo la tutela del paesaggio e la sua promozione, a partire dal coinvolgimento dei cittadini. Così come ci invita a fare la Convenzione europea.

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