I padroni del clima esistono
Nuova finanza pubblica La questione climatica ha bisogno di una strategia complessiva. In un articolo recentemente pubblicato da Internazionale si pone in evidenza come nessuno dovrebbe mai essere padrone dell’universo. Eppure è proprio […]
Nuova finanza pubblica La questione climatica ha bisogno di una strategia complessiva. In un articolo recentemente pubblicato da Internazionale si pone in evidenza come nessuno dovrebbe mai essere padrone dell’universo. Eppure è proprio […]
La questione climatica ha bisogno di una strategia complessiva. In un articolo recentemente pubblicato da Internazionale si pone in evidenza come nessuno dovrebbe mai essere padrone dell’universo. Eppure è proprio ciò che accade.
Il concetto si può riassumere in una frase: le banche finanziano l’industria dei combustibili fossili, che sta rovinando il pianeta.
L’impegno delle banche per il caos climatico è cresciuto ogni anno anche dopo gli accordi di Parigi (2015): di 612 miliardi di dollari nel 2016, di 646 nel 2017 e di 654 nel 2018. Di questi 1900 miliardi di dollari complessivi, 600 sono andati a 100 imprese che hanno aumentato senza scrupoli l’estrazione dei combustibili fossili.
Ma il potere finale delle finanza diventa concreto quando consideriamo che 25 colossi finanziari controllano il 30% delle prime 43.000 multinazionali le quali hanno più potere degli Stati, al punto che nella classifica delle prime 100 entità economiche globali, 67 sono multinazionali e 33 governi (da un rapporto del Centro Nuovo modello di sviluppo).
Recentemente papa Francesco ha parlato di capitale finanziario globale come criminalità organizzata che causa debito pubblico ed ingiustizie climatiche: «Il capitale finanziario globale è all’origine di gravi delitti non solo contro la proprietà ma anche contro le persone e l’ambiente. Si tratta di criminalità organizzata responsabile, tra l’altro, del sovra-indebitamento degli Stati e del saccheggio delle risorse naturali del nostro pianeta. Il diritto penale non può rimanere estraneo a condotte in cui, approfittando di situazioni asimmetriche, si sfrutta una posizione dominante a scapito del benessere collettivo. Questo succede, per esempio, quando si provoca la diminuzione artificiale dei prezzi dei titoli di debito pubblico, tramite la speculazione, senza preoccuparsi che ciò influenzi o aggravi la situazione economica di intere nazioni».
Il debito è usato come trappola per subordinare gli interessi dei popoli ed è anche al centro della crisi climatica e delle migrazioni epocali dall’Africa.
In un recente incontro svoltosi a Tunisi è emerso come occorra costruire percorsi che giungano a governi monetariamente sovrani, che emettono la propria valuta, riscuotono le tasse in quella stessa valuta, emettono solo obbligazioni denominate nella propria valuta locale, operano in regime di cambio flessibile e puntano sulla sovranità energetica e alimentare. In questa teoria monetaria vi sono alcuni elementi di analisi che si possono condividere, ma solo alla luce della considerazione fondamentale che la sovranità dev’essere democratica e popolare e non dipende dalla moneta.
In ogni caso è inimmaginabile non considerare lo scontro finanziario il fulcro della battaglia per la giustizia ambientale. Forse il modo migliore per fermare il flusso di carbonio nell’atmosfera potrebbe essere interrompere il flusso di denaro che va verso il carbone, il petrolio e il gas.
È davvero il momento del clima: la paura della gente si sta trasformando in rabbia e quella rabbia potrebbe presto rivolgersi contro il mondo della finanza. Se così fosse, non sarebbe la fine dell’emergenza climatica: dovremmo ancora approvare le leggi per limitare le emissioni e riconvertire il modello energetico e produttivo.
È un invito rivolto a tutti a considerare il necessario approccio finanziario senza il quale saremo condannati a combattere contro ogni singolo progetto invece che contro una visione complessiva distruttiva. Senza una conferenza globale su clima, migrazioni e debito saremo tutti come profughi sopravvissuti, forse, alle nostre tempeste sociali, economiche e ambientali.
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