I no che aiutano a crescere
Dovrebbe essere evidente ormai a tutti che c’è un prima e un dopo il crollo di Genova. Quella tragedia ha segnato tutti, il suo portato di dolore a cerchi concentrici, […]
Dovrebbe essere evidente ormai a tutti che c’è un prima e un dopo il crollo di Genova. Quella tragedia ha segnato tutti, il suo portato di dolore a cerchi concentrici, […]
Dovrebbe essere evidente ormai a tutti che c’è un prima e un dopo il crollo di Genova. Quella tragedia ha segnato tutti, il suo portato di dolore a cerchi concentrici, partendo dalle vittime e dai loro cari, arriva fino all’ultimo strato della società italiana. Società sbrindellata e intellettivamente deprivata quanto volete, ma sicuramente ancora capace di sentire gli effetti profondi di un crollo così reale e insieme così simbolico. Il ponte riassume gran parte della specie umana, il pontefice è un magistero da ben prima che se ne appropriasse la Chiesa cattolica, il ruolo di unione esprime perfettamente ciò che siamo al nostro meglio.
È sicuramente stata un’estate terribile per i concetti di unione e solidarietà, e non sto parlando qui delle flatulenze digitali salviniane. Genova sovrasta l’esplosione sulla tangenziale di Bologna, anche quella simbolo di connessione interrotta. Logica vuole che prima di agire si ragioni. E di cose da dirci quel crollo ne ha così tante che c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Sempre che lo si voglia fare. Mi ha sbalordito, letteralmente, leggere Ezio Mauro su Repubblica tirare in ballo fantomatici «pifferai della decrescita» quali comprimari nella tragedia. Ormai da molti anni, da quando ho scelto uno stile di vita diametralmente opposto al compra-mordi-butta imperante, cerco di abituarmi alla difficoltà di spiegare cosa sia uno stile di vita partigiano come quello che ho scelto di vivere e capisco bene le ritrosie di chi non ha fatto la stessa scelta o una simile comunque apparentata, non dovrei stupirmi.
E però: quel tragico spartiacque, quel prima e dopo, stavolta no, non mi fa accettare democraticamente, filosoficamente, educatamente la sordità collettiva che incantesima l’Italia ormai da oltre due decenni. In tutto questo tempo ho praticato il NO che aiuta a crescere, spiegandolo e illustrandolo (in un caso sono persino arrivato a mostrare i miei dati medici per far constatare il miglioramento di pressione e altri parametri positivi che il mio corpo, pur invecchiando, sta felicemente subendo). Naturalmente, non avendo una audience da star, gli effetti delle mie dimostrazioni hanno ambiti limitati e non c’è da stupirsene.
Però – e quindi – torno sul punto per l’ennesima volta: bisogna saper capire che il futuro è una scelta, e che in casi così disperati come l’impero roccioso del neoliberismo applicato alla quotidianità di esseri fragili come noi siamo lo strumento più potente che abbiamo a disposizione è dire no. Rifiutarsi di partecipare allo sgretolamento del terreno su cui poggiamo i piedi e le ruote, per poi passare a un rifiuto più vasto, più solido, strutturale, attraverso pratiche quotidiane ormai a conoscenza di tutti. Personalmente ho scelto la bicicletta come bandiera di un altro modo di vivere possibile e più efficace, voi fate come vi pare ma fate qualcosa per dire no. Il dopo Genova è ormai ineludibile, rassettate animi e coscienze, fate le pulizie straordinarie dei vostri strumenti logici e contribuite singolarmente e quindi collettivamente al rifiuto di un modello di gestione dell’esistente fallimentare, fallito e da dopo Genova in evidente stato di dissesto.
Nel caso di specie, un consesso umano che ha pensato e poi realizzato quella mostruosità di ponte/viabilità elevandola a simbolo di progresso è una società fallimentare e pericolosa, da rendere innocua nel minor tempo possibile e con la massima urgenza.
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