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I nazionalismi alimentano il brutto clima

I nazionalismi alimentano il brutto clima

Analisi A partire dal libro di Daniele Conversi, una riflessione sul rapporto tra la crisi ambientale globale e l’impalcatura dello stato nazione (capitalista)

Pubblicato più di un anno faEdizione del 12 gennaio 2023

Ne ho letti molti, di libri che affrontano il tema dei cambiamenti climatici, ma devo confessare che il libro di Daniele Conversi (Cambiamenti climatici – Antropocene e politica, Mondadori, 13 euro) mi ha veramente sorpreso. Nei primi due capitoli l’autore fa una rapida, puntuale ed efficace carrellata sul tema della crisi ambientale, partendo da Primavera silenziosa della Carson, pubblicato nel 1962, attraversando quella pietra miliare che fu I limiti dello sviluppo promosso dal Club di Roma, nel 1972, per poi condurci, passo dopo passo, ai giorni nostri. In questo percorso incontriamo concetti quali la grande accelerazione, l’antropocene, l’ipotesi Gaia, i limiti planetari, la giustizia intergenerazionale, il modello di produzione capitalista, col suo imprescindibile derivato, il consumismo. Insomma due capitoli densi e ricchi di informazione, che da soli basterebbero a giustificare il libro.

INVECE IL BELLO DEVE ANCORA VENIRE, e viene quando Conversi affronta il tema della crisi ambientale da un punto di vista inconsueto: quello del suo rapporto con il nazionalismo, oltre che con il capitalismo. L’autore sottolinea che «l’epoca moderna… è stata fortemente improntata da una varietà di istituzioni legate allo stato nazione e dalla sua principale impalcatura ideologica, il nazionalismo». Tanto che «nonostante tutti i proclami universalisti e multilateratisti, il nazionalismo continua a permeare le relazioni internazionali e le politiche pubbliche ovunque gli stati-nazione siano diventati le istituzioni dominanti».

LA DIMOSTRAZIONE STA NEL FATTO CHE SI DÀ per scontato che la politica estera abbia il compito di difendere e promuovere gli interessi nazionali. Interessi che, espressi come sono dalle élite dominanti e dalla necessità di consenso a breve della classe politica, portano a combattere quelle azioni coordinate, di collaborazione fra stati che sono indispensabili per risolvere problemi globali come il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità. Problemi che possono essere risolti solo tutti insieme, tutti i paesi del mondo, e tenendo conto delle responsabilità di ciascun paese nell’avere causato il danno.

E COSÌ L’AUTORE CI FA NOTARE CHE È PROPRIO il nazionalismo il principale ostacolo nell’avanzamento dei negoziati multilaterali sul clima, dato che i governi dei paesi più potenti o influenti hanno fatto prevalere gli interessi a breve termine a scapito dei diritti delle prossime generazioni e delle altre nazioni della terra. Ma non basta. Crisi ambientale e nazionalismo che si oppone alla sua soluzione sono connessi da un ulteriore elemento: il capitalismo. Infatti, riporta Conversi, secondo alcuni studiosi capitalismo e nazionalismo si rinforzano a vicenda, dal momento che «il nazionalismo ha spinto masse di persone in una corsa senza fine per il prestigio nazionale da conseguirsi attraverso la crescita e la competitività economica».

NELLO STESSO TEMPO IL CAPITALISMO SI AVVALE del nazionalismo per prosperare, usandolo come collante sociale al fine di mimetizzare la iniqua distribuzione delle risorse che è l’inevitabile conseguenza del suo principio portante, secondo cui l’accumulo di ricchezza è il fine ultimo della vita umana. Mimetizzazione che si attua anche attraverso la retorica basata sull’uguaglianza di sangue o fratellanza nazionale. «In tal modo il nazionalismo riesce a rendere popolarmente accettabile ciò che è socialmente inaccettabile». Il capitalismo, d’altra parte, è intrinsecamente connesso al produttivismo che, a sua volta è alla base dell’approccio «estrattivista» che danneggia l’ambiente estraendone risorse senza limite e immettendo, pure illimitatamente, rifiuti (fra cui i gas serra). E il produttivismo è legato al nazionalismo, dato che «si basa sulla convinzione che la produttività e la crescita di uno Stato nazione siano lo scopo ultimo dell’organizzazione umana. Ne consegue che maggiore è la quantità di beni consumati e/o prodotti, maggiore è il benessere comune».

INSOMMA, CAPITALISMO, PRODUTTIVISMO, nazionalismo sono collegati, e possiamo «vederli come un insieme quasi indistinto che si coagula, si fonde e si consolida in momenti critici della storia, rivelando infine la sua impotenza nell’affrontare emergenze globali, come la perdita della biodiversità e il cambiamento climatico». In tutto questo, ci fa ancora notare Conversi, non è detto che il nazionalismo sia necessariamente in conflitto con la lotta al degrado ambientale, infatti c’è una «rete di iniziative locali che pongono alcuni Stati, particolarmente europei, all’avanguardia della transizione ecologica: per esempio, si possono citare i casi di varie iniziative a livello sia locale sia nazionale in Danimarca, Finlandia, Svizzera, Norvegia e Germania. In tali casi sarebbe bene parlare di nazioni esemplari in cui l’orgoglio patriottico non è più basato sulla crescita economica o sulla forza militare, ma sulla sostenibilità».

MA È ANCHE VERO CHE LA REALIZZAZIONE della risorsa nazionale carbone spinge la Polonia a frenare l’attuazione del Green Deal europeo, e – possiamo aggiungere – l’esaltazione della «risorsa nazionale» ha spinto l’attuale governo italiano a riprendere le trivellazioni pur essendo irrilevante il potenziale di gas estraibile. Esistono due approcci al rapporto uomo-natura, l’ambientalismo e l’ecologismo, ci fa ancora notare Conversi: «Mentre il primo non richiede necessariamente un nuovo sistema economico, il secondo lo richiede. Ne segue che il primo può essere facilmente appropriato dai conservatori, mentre il secondo richiede cambiamenti più radicali e si afferma come una alternativa sociale globale»; di conseguenza è di sinistra.

E COSÌ L’INTRECCIO NAZIONALISMO, CAPITALISMO, crisi ambientale si fa più ricco e fitto, mettendo in gioco ulteriori fattori, che non si limitano ad essere quelli fin qui elencati e che l’autore esamina e interconnette. Insomma, il libro offre numerosissimi spunti di analisi e riflessione che non possono essere condensati nelle poche righe di una recensione, bisogna leggerlo, e non c’è pericolo di pentirsene, anche perché noi italiani abbiamo davanti anni in cui di nazionalismo ci toccherà occuparci, ci piaccia o no.

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