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I nazional-reazionari: la formula del caso Italia

I nazional-reazionari: la formula del caso Italia

Le categorie con cui abbiamo descritto i regimi democratici occidentali non reggono più, meglio parlare di stili di governo. E quello di Meloni rende curiosi i potentati economici

Pubblicato 6 giorni faEdizione del 2 ottobre 2024

Dopo la grande esternalizzazione al mercato di tante competenze statali, tra scosse e aggiustamenti le categorie finora usate per descrivere i regimi democratici occidentali, giuridiche e politologiche, non reggono più. Meglio è parlare di stili di governo.

Margaret Thatcher archiviò quello che in Inghilterra si chiama il «consenso del dopoguerra» e la versione più elegante del bipartitismo, per adottare un truce stile «nazionalconservatore»: nazionalismo, esaltazione della famiglia, individualismo acquisitivo. In più parlamento sottomesso, opposizioni disprezzate, bando ai sindacati. Lo stile «tecnocratico» Clinton-Blair è il secondo modello: riforme radicali dell’amministrazione pubblica, meritocrazia, workfare anziché welfare, multiculturalismo, uguaglianza di genere, diritti Lgbtq+, sostenibilità ambientale, qualche misura di soccorso ai ceti deboli.

QUASI TUTTI i governi europei hanno oscillato tra questi due stili, talora li hanno miscelati. Finché Macron non ha inventato un terzo stile, quello «antipolitico». Mercato e tecnocrazia imperversano, ma finché gli elettori non l’hanno sconfessato, il governo si è ammantato della retorica dell’uomo della strada, della società civile, del superamento del dualismo tra destra e sinistra e, va da sé, del ruolo dei partiti. Non è mancata qualche attenzione al tema dei diritti, consacrata dall’inserimento in costituzione del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.
Molto hanno contato le regole elettorali e costituzionali proprie d’ogni paese. In Germania, la proporzionale ha temperato la dialettica politica e a volte condotto a governi di grande coalizione. In Francia prima Sarkozy e poi Macron hanno sfruttato con molta disinvoltura le possibilità offerte al capo dello Stato dalla costituzione, molto difettosa in fatto di divisione dei poteri. Come il Gran Bretagna gli ultimi esecutivi conservatori hanno sfruttato all’estremo le potenzialità del governo di gabinetto. Starmer pare incline a imitarli. Largo è il denominatore comune tra i tre stili. Mercato a parte, spicca l’aumento progressivo della dose di coercizione iniettata nell’azione di governo: verso gli immigrati, ma non solo.

L’Italia si è conformata a modo suo, tra molte incertezze. Da ultimo sembra però diventata il paese ove sperimentare un quarto stile, quello «nazional-reazionario» incarnato da Giorgia Meloni, disordinatamente anticipato dalla presidenza Trump. Gran dispendio di retorica nazionalista, individualista, a suo dire meritocratico, antiambientalista, omofobo, antifemminista, xenofobo, accanito contro i poveri, lo stile Meloni inneggia alla famiglia, anche per rimediare al declino demografico. Ama toni e pratiche aggressivi contro avversari politici e dissenzienti ed è spietato contro gli immigrati. Securitarismo e panpenalismo rivestono il ricorso abnorme alla coercizione. Il progetto di premierato prova a consolidare costituzionalmente questo stile.

BISOGNA CAPIRLE: le liberaldemocrazie versano al momento in condizioni di grave sofferenza. La diagnosi formulata dal rapporto Draghi sullo stato dell’economia europea è desolante. L’austerity ha prodotto pochi benefici. La crisi della manifattura si sta accelerando. L’America si salva perché può indebitarsi senza limiti. Finanziarizzazione, delocalizzazioni, flessibilità della forza lavoro hanno permesso di guadagnare un po’ di tempo, per usare la formula di Wolfgang Streek, ma molti segni indicano che il tempo sta finendo.

Le disuguaglianze socioeconomiche sono enormemente cresciute. Sottomessi alla leadership americana, in Europa è in atto una rapida e costosa rimilitarizzazione, onde reagire all’assedio, anzitutto economico, delle nuove grandi potenze industriali e tecnologiche. La commercializzano come l’assalto delle dittature alle democrazie. Ma non significa però stare dalla parte di Putin dire che le democrazie che non sanno più far politica e ricorrono alla guerra per tutelare, ci dicono, i sacri valori occidentali.

Dal canto loro, i cittadini manifestano, come possono, il loro malessere. Hanno pochi mezzi, ma la crescita esponenziale dell’astensionismo e del voto di protesta sono segni inequivocabili. Una parte significativa dei governi occidentali si regge su maggioranze tecniche, frutto dell’ingegneria elettorale e dello sciopero del voto dei ceti sociali popolari. Quando, a considerare con attenzione le preferenze dei cittadini c’è da pensare che non sono troppo in sintonia coi loro governi. La sensibilità ambientale è discreta, elevata è l’affezione al welfare, circoscritta l’ostilità verso gli immigrati. Hanno buon senso sufficiente per capire che senza immigrati l’agricoltura, l’edilizia, l’assistenza sanitaria e agli anziani e molto altro sarebbero a terra.

Ecco perché governi e potentati economico-finanziari guardano con curiosità allo stile Meloni, cui però l’ultimo Macron potrebbe fare concorrenza. L’attacco alle libertà fondamentali è generale – si pensi ai divieti opposti alle manifestazioni di solidarietà pro-Palestina – ma Meloni lo sta aggravando. Comprimere il diritto di sciopero potrebbe fare comodo per fronteggiare il declino. E qui, per concludere, si sta drammaticamente logorando ciò che resta della sinistra, che, divisioni a parte, è vittima delle sue incertezze. Da qualche parte sta un po’ meglio, ma in genere è in difficoltà con gli elettori. Tuttora per lo più propende per lo stile tecnocratico e non osa sconfessare le politiche neoliberali. In gioco ahimè non c’è solo il regime democratico, che ormai non è più necessario abrogare: continueremo ancora a votare. Ma il vivere civile. Prossima tappa dell’escalation, sia chiaro, è lo stile di governo militare.

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