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I movimenti per la salute a congresso: «La sanità ha bisogno di democrazia»

I movimenti per la salute a congresso: «La sanità ha bisogno di democrazia»Un letto di ospedale, in basso Luca Negrogno

«Come si esce dalla sindemia?» Intervista a Luca Negrogno dell’Assemblea per la Salute del Territorio di Bologna, uno degli organizzatori dell’appuntamento che si è tenuto a Bologna: «La cittadinanza non ha potere di controllo, chi lavora nei servizi è spesso sotto ricatto e la presa di parola all’interno del Ssn è fortemente limitata»

Pubblicato circa 3 anni faEdizione del 9 novembre 2021

«Come si esce dalla sindemia?» è il titolo del Congresso nazionale per la salute che il 6 e il 7 novembre ha portato a Bologna da tutta Italia un centinaio di movimenti, associazioni e sindacati per discutere di sanità pubblica. Al centro dell’incontro, la difesa e la ricostruzione del servizio sanitario nazionale. Luca Negrogno, sociologo esperto sulle politiche della salute mentale, è membro dell’Assemblea per la Salute del Territorio di Bologna, uno dei movimenti che hanno lanciato la due giorni.

Cosa significa «sindemia»?

Il concetto di sindemia è stato usato nel corso della prima fase in un famoso editoriale di Richard Horton, direttore della rivista Lancet. Descrive un’epidemia provocata da un agente patogeno che interagisce con altre condizioni di vita e salute della popolazione, proprio com’è avvenuto per il Covid. E non riguarda solo altre patologie concomitanti, ma anche le condizioni di vita delle persone. D’altronde, sarebbe riduttivo definire il concetto di salute solo come assenza di un agente patogeno. Non è un concetto nuovo, ma in questi due anni il dibattito pubblico ha messo in secondo piano i contenuti della medicina critica e medicina sociale. E infatti uno dei temi emersi durante la due giorni è che le lotte per la salute arrivano a un risultato se si incrociano con altre questioni, come quelle ambientali, di genere o legate alla disabilità.

Quali sono stati i temi del congresso?

Uno dei temi più condivisi è stata l’analisi critica di quello che succede al Servizio Sanitario Nazionale, anche se ormai si parla spesso di “sistema” perché integra tra diversi attori pubblici e privati, non tutti orientati all’universalità del servizio. Tra i problemi che abbiamo individuato c’è l’assenza di democrazia in campo sanitario: la cittadinanza non ha potere di controllo, in più molte mobilitazioni in campo sanitario hanno mantenuto un carattere corporativo. Chi lavora nei servizi poi è spesso sotto ricatto e la presa di parola di chi lavora all’interno del servizio sanitario è fortemente limitata: molti operatori intervenuti hanno raccontato che in quasi ogni azienda sanitaria sono state emanate circolari che vietavano loro di esprimersi pubblicamente.

La critica riguarda anche il Pnrr?

Il modo in cui è stato elaborato il Pnrr rappresenta un buon esempio di queste dinamiche: il piano è stato concepito in modo tecnocratico, con indicazioni di stampo manageriale e senza coinvolgere la popolazione e i saperi critici. Nel merito, poi, è stato criticato perché dimostra che non c’è un investimento nelle risorse umane e da anni, anche a causa del blocco delle assunzioni, tutto il budget a disposizione dei servizi sanitari è speso in acquisizione di beni e servizi all’esterno. Il Pnrr prosegue su questa strada e punta sull’informatizzazione della sanità e sulla telemedicina, cioè la medicina a distanza. È un’ulteriore desertificazione della relazione umana che sta alla base della salute e della comunità, e che giustificherà un’ulteriore riduzione delle risorse investite sulla componente umana della sanità.

L’altro punto critico sono le «case di comunità», e ci mettono in allarme alcune iniziative regionali. Alcune regioni hanno stabilito che verranno assegnate a erogatori privati convenzionati. La programmazione della sanità viene fatta dipendere dagli investimenti degli enti erogatori. Va invece anteposta la rilevazione dei bisogni, restituendo ai cittadini la capacità di esprimersi, alla programmazione dei servizi erogare. Invece si parte dalle prestazioni e dalla loro profittabilità per determinare la programmazione sanitaria.

Il dibattito politico intorno a questi temi è stato oscurato dalla discussione sul green pass?

Questa due giorni nasce anche dal fatto che questi temi sono un po’ spariti dal dibattito, che si è polarizzato tra due posizioni ugualmente reazionarie, tra autorità e complotto. Noi proponiamo una fiducia critica nella scienza, che non è mai neutra e che, soprattutto in campo sanitario, coagula anche conflitti di potere. A Bologna si è parlato del rapporto poco trasparente tra case farmaceutiche e governi, di moratoria sui brevetti, della necessità di ricostruire un rapporto tra tecnici, ricercatori e cittadini intorno a un dibattito critico. Nel congresso si sono incontrate realtà grandi e piccole, che nella fase della pandemia hanno attivato forme di mutualismo e hanno difeso l’accesso a servizi trascurati come la salute mentale e la salute di genere, insieme ai comitati contro il regionalismo differenziato, alle associazioni di professionisti, alla cosiddetta “società civile”. L’obiettivo immediato è la costruzione di un osservatorio sulle disuguaglianze di salute. Ci siamo dati un nuovo appuntamento nazionale a Roma fra sei mesi, per dare il tempo a questa rete di sedimentare.

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