Da sempre fuori dal coro, prima con gli Ottavo padiglione e poi artefice di una lunga carriera solista, il livornese Bobo Rondelli è un rivoluzionario della canzone d’autore spesso declinata su temi amorosi, rimembranze personali e un po’ bohemiem. Forse l’erede più diretto del concittadino Piero Ciampi. Cuore libero (Audioglobe) è il suo nuovo disco, brani pensati come una sorta di viaggio nei pensieri e nei ricordi con personaggi che in parte si ricollegano ai protagonisti del libro pubblicato per Mondadori Cos’hai da guardare (2019). Canzoni registrate da Davide Fatemi che cura da diversi anni i lavori di Bobo, dove spiccano il piano e gli arrangiamenti orchestrali di Claudio Laucci, coautore delle musiche, e sparsi in qua e là interventi di Stive Lunardi, Valerio Fantozzi e Simone Padovani insieme a Jole Canelli ai cori e le chitarre di Leonardo Marcucci.

LAVORO dai toni malinconici, quasi crepuscolari: «In genere quando fai un disco – spiega Rondelli – scegli i pezzi che ti convincono più, chiaro che lo stato d’animo che avevo si sente. Non penso sia un disco dai sapori ricchi, non son proprio esattamente melodie italiane. Le potrei definire canzoni d’amore dove bisogna saper perdere e allo stesso tempo non essere perdenti. Perfino il tuo dolore – diceva Modugno – sarà meraviglioso… È un po’ zen come concezione, le sconfitte sono uguali alle vittorie alla fine».

I CHIAROSCURI della vita di Bobo sono squadernati nei testi, ma senza rassegnazione. Preferisce piuttosto guardare avanti e non voltarsi indietro, quasi a perdonare persone e anche circostanze: «Sì, perché l’amore ti porta in paradiso ma non è eterno. Ma anche saper vivere quel momento di dolore delle volte è il momento più bello per scrivere e trovare le parole, per avere la giusta visione e sentire come un teatro dentro e di fianco le scintille». Cuore libero propone tanti ritratti di donna, come Sabrina: «Il primo amore sublimato da ragazzino, senti che le piaci ma lei non vuole confessarlo. Sabrina era una grande viaggiatrice e come tanti ragazzi degli anni settanta tossicodipendente; è morta dopo un overdose. Eravamo una generazione che è rimasta scottata da questo, forse per un patto politico. L’eroina ha distrutto un mondo».
L’infermiera è il piccolo capolavoro del disco, un affresco di rapporti amorosi e dipendenze che si chiude con una frase geniale ‘il paziente era la mia vocazione’: «Io con le donne soffro di sensi di colpa in continuazione, quindi stavo con un’infermiera ora sto con un medico di famiglia di quelli che vengono pagati a salsicce a fiaschi di vino. Però ti curano l’anima, mi piacciono le persone che hanno il senso della compassione. Alla fine ha scelto di diventare una suora laica, ho sentito il distacco e poi la differenza d’età».

FRA I TITOLI Falso Chagall: «È dedicata al mio ultimo amore, un gibbone e un topino che volano su un falso Chagall. Io ammiro i falsari quasi più degli artisti veri, perché stanno lì a divertirsi poi si fanno una copiatina e prendono in giro tutte le teste di cazzo. Vorrei che i quadri e la bellezza fossero sempre aperti a tutti». Rondelli ama il cinema: «Mi piace la sensazione del grande schermo, il bianco e nero dei Soliti ignoti, quelle facce viste al cinema sono tutta un’altra cosa». Si occupa di colonne sonore: in passato ha lavorato sulle musiche di Sud Side Stori di Roberta Torre di cui è stato protagonista, e Andata e Ritorno di Alessandro Paci. Nel maggio 2009 anche il road-movie L’uomo che aveva picchiato la testa che Paolo Virzì dedica a Bobo, e sempre per il regista livornese appare in La pazza gioia. «Ci siamo incontrati per caso. Ero stato appena cacciato da casa e con le valigie in mano, una situazione quasi da film (ride, ndr). Quel documentario è stato anche un suo modo per darmi una mano e per farmi conoscere».