Arabella è una giovane scrittrice che vive a Londra. Di origine ghanese, si muove nel mondo circostante disorientata e non sa ancora chi vorrebbe essere di preciso. Ha pubblicato un romanzo online, Cronache di una Millennial stufa, che le ha restituito un successo quasi inaspettato, dopo che si era fatta notare per i suoi numerosi tweet. Ora, però, ha firmato un contratto con una casa editrice e la deadline per la consegna del suo primo «vero» libro si avvicina. Saprà portare a termine l’impresa? Sarà all’altezza della situazione?

INTORNO a lei, vi sono amiche e amici che allo stesso modo sembrano sbandare, con un passo incerto nell’affrontare ogni singolo istante della propria esistenza. Dal lavoro, alla famiglia, alle relazioni più o meno impegnative, dal divertimento al sesso inteso come sperimentazione di sé. Terry è l’amica sempre presente. Vorrebbe lavorare come attrice ma le cose non vanno affatto bene, nonostante un gruppo femminista sia interessato alle sue prestazioni. Kwame è l’amico più silenzioso, sul quale comunque si può fare affidamento. È un istruttore in una palestra e prova a vivere la propria omosessualità in totale libertà, intercettando uomini attraverso la rete. Fin qui siamo all’interno di una commedia, con gli alti e i bassi che contraddistinguono le giovani esistenze. C’è anche spazio, sorprendentemente, per un’avventura a Ostia, per una serata sfrenata in un paesaggio molto diverso da quello londinese.
Di nuovo a casa, con la fretta di consegnare una parte del libro, alla ricerca di una o più identità, Arabella è vittima di uno stupro. È probabile che qualcuno le abbia somministrato una droga a sua insaputa. Ha delle visioni, dei flashback, non ricorda quello che le è successo, ma sa perfettamente che è accaduto.
Lo spaesamento assume contorni più marcati. Non è più un vago disagio esistenziale, una crescita che ancora non ha preso una forma interpretabile, una pagina che resta bianca, un fidanzato che non è un fidanzato, una droga o un bicchiere di troppo. È un baratro e ha le chiare sembianze umane di qualcuno che con violenza le ha segnato corpo e mente.

DA QUESTO momento, la miniserie I May Destroy You, arrivata su Sky Atlantic e Now con ben due anni di ritardo (e tanti premi tra cui due Bafta e due Emmy), creata e interpretata da Michaela Coel (che da una propria dolorosa esperienza ha tratto ispirazione), cambia decisamente registro. Se prima, osservando Arabella e le sue amiche, si potevano fare delle futili considerazioni generazionali più o meno azzeccate, dopo lo stupro si entra in una sfera intima che sposta il racconto su qualcosa di radicalmente doloroso. È la cesura col mondo, con la parola, con la possibilità che si possa vedere nell’altro la costruzione anziché la distruzione.
Dal giorno della violenza, perciò, Arabella inizia una nuova ricerca, un percorso fatto di tentativi, taluni apparentemente inutili, altri che sembrano efficaci. «C’è la guerra in Siria, non tutti hanno lo smartphone, c’è la fame nel mondo», questo la donna si ripete in modo ossessivo per non pensare al suo trauma, per affrontare la paura che ora le mette il mondo. Poi dipingere, scoprire che tanti hanno subito gli stessi abusi, riprendere la parola, testimoniare, denunciare, riconoscere le azioni proprie e altrui.
Le dodici puntate da circa mezzora di I May Destroy You non si limitano a raccontare le esperienze di Arabella. Vi sono anche quelle che potremmo definire storie collaterali, ma solo perché identifichiamo nella protagonista il centro di gravità. In realtà, è una narrazione del nostro contemporaneo condotta con rigore e con alcune concessioni alla commedia. Il filo che tiene insieme tutte le vicende personali (eppure universali e condivisibili) è la costante prevaricazione di un individuo ai danni dell’altro. I fili però si possono rompere ed è in quel taglio che si insinua la possibilità di riemergere assumendo una nuova forma.