I manifesti rivoluzionari
Mostra A dispetto della mancanza di carta e l'assenza di alcuni colori, i manifesti cubani sono ricchi di storia
Mostra A dispetto della mancanza di carta e l'assenza di alcuni colori, i manifesti cubani sono ricchi di storia
La storia del manifesto cubano, il ‘cartel’, è fatta di tre acronimi e di una manciata di lettere. DOR sta per Departamento de Orientación Revolucionaria, ICAIC per Instituto Cubano de Arte e Industria Cinematográficos, OSPAAAL per Organización de Solidaridad de los Pueblos de Asia, África y America Latina. Tre acronimi e una manciata di lettere come altrettante bussole, per orientarsi lungo il percorso di ¡Mira Cuba!, negli Spazi Espositivi Via Bertossi, a Pordenone: oltre 200 tra carteles e bozzetti originali provenienti dalla collezione di Luigino Bardellotto, curatore della mostra insieme a Simona Biolcati Rinaldi e Ivo Boscariol.
I barbudos di Fidel entrarono all’Avana la notte del capodanno 1959. La Revolución, quella combattuta con le armi e pagata con il sangue, era arrivata al termine del suo cammino. Ora si rendeva necessario avviare un’altra Revolución, pacifica ma altrettanto difficile, per garantire al popolo la casa, il lavoro, l’assistenza sanitaria, il cibo, l’istruzione. Il primo gennaio del ’59, l’Avana e l’isola vennero tappezzate con un cartel che festeggiava la vittoria. E forse fu proprio quel cartel a indicare come si poteva, d’ora in poi, comunicare alla collettività i progetti da costruire, i passi da compiere, le fatiche e gli sforzi da sostenere, le necessità cui rispondere tutti insieme. Il significato di ¡Mira Cuba! lo si comprende soltanto a patto di avere ben chiara una cosa: nessuna delle opere esposte è nata come fine a se stessa e da una creatività chiusa nel suo guscio.
Il capitolo introduttivo del catalogo della mostra, firmato dai tre curatori, ben lo evidenzia «Non si tratta di una scuola col proprio segno distintivo, bensì di singoli individui dotati di estro e capacità che, ed è questo il fatto eccezionale, si trovano a lavorare a stretto contatto quasi contemporaneamente, nelle stesse condizioni, per una stessa causa». Altra indispensabile chiave di accesso è la consapevolezza della fatica e delle difficoltà nascoste dietro i segni e le cromie, la forza e l’inventiva dei messaggi. Nelle minuscole stanze del DOR, dell’ ICAIC, dell’OSPAAAL, Félix Beltran, Raúl Martinez, ‘Niko’ Antonio Pérez Gonzalez, Eduardo Muñoz Bach, Olivio Martinez, Antonio Reboiro, Alfredo Rostgaard e decine di altri nomi disegnavano avendo sovente ‘contro’ la mancanza di carta su cui dar vita alle idee; l’assenza improvvisa e prolungata di alcuni colori nei laboratori di serigrafia o di stampa in offset, che imponevano il cambio delle cromie di un cartel; il clima tropicale, nemico dell’asciugatura e a volte talmente spietato da condannare i tecnici a ricominciare daccapo. Ma Félix, Raúl, Niko, Eduardo, Olivio, Antonio, Alfredo e i tanti altri, lontani per distanza fisica e mentale dagli atelier di Parigi e New York, affrontavano tutto questo e altro ancora senza isterie da star della matita o del pennello.
L’ingresso a ¡Mira Cuba! ha bisogno di un’ultima premessa, anzi di un riconoscimento, a chi, in quindici anni di viaggi dentro l’isola, si è fatto esploratore e custode del cartel. Decidendo poi di condividere questo patrimonio, occasione più unica che rara, con il pubblico italiano. Lui, l’esploratore e il custode, Luigino Bardellotto da San Donà di Piave, rappresentante di piante ornamentali, ¡Mira Cuba! l’ha costruita con la forza di una collezione che ha pochissimi paragoni per qualità e quantità di pezzi in Europa e nel mondo; ha cercato l’isola fuori dai villaggi turistici e dalle memorie purtroppo omologate della Bodeguita del Medio e del Floridita, dell’Hotel Nacional e di Ernest Hemigway.
L’ha cercata e scoperta dentro una libreria nel centro dell’Avana, in Calle Obispo «Era il 2005, e quella volta avevo deciso di portarmi a casa un souvenir diverso, in sintonia con le mie idee. Andai sul classico: un cartel del Che. In un viaggio successivo acquistai altri pezzi, una decina. All’Avana c’era una galleria d’arte, oggi chiusa, La casona, sulla Plaça Vieja. Il proprietario rimase sorpreso dalla particolarità delle mie scelte, e mi propose di approfondire il percorso che avevo iniziato in modo quasi involontario. Così, anno dopo anno, ho conosciuto coloro che avevano realizzato quelle e tante altre opere, le istituzioni che li avevano radunati, la storia personale degli artisti. Il primo, cui mi lega tuttora un’amicizia profonda, è stato Olivio Martinez (vedi l’intervista in queste pagine, ndr) che ha disegnato, tra gli altri, i carteles per la Zafra, la campagna di taglio di dieci milioni di canne da zucchero agli inizi degli anni ’70».
Viene da chiedere a Gigi se la riscoperta di nomi celebri della grafica cubana sia paragonabile a quella di Ray Cooder e Wim Wenders per i musicisti di Buena Vista Social Club «In qualche misura c’è somiglianza. Ma penso che sia una vicenda molto diversa. Alcuni artisti continuano a lavorare e a credere in Cuba, altri ne sono rimasti delusi, altri ancora hanno scelto Miami o il mondo occidentale. La storia del cartel e dei suoi protagonisti è sempre e comunque una storia politica. E io la guardo con il massimo rispetto. Olivio Martinez, ad esempio, è un personaggio puro e intransigente, dall’alto del suo percorso e dei settantadue anni di età. Un uomo e un artista che ha parole dure nei confronti di chi se n’è andato altrove, rinnegando gli ideali in nome di una vita indubbiamente più comoda».
Due sezioni dedicate all’ ICAIC e all’OSPAAAL; uno spazio che racconta i lavori di Antonio Reboiro, accanto ad un altro imperniato sulla nuova grafica che si cimenta con il computer; le pareti di un corridoio su cui campeggiano i dieci bozzetti di Olivio per il raggiungimento degli obbiettivi della Zafra. La mostra è questo, nel suo ordine espositivo. Un ordine che si è portati a violare quasi subito, catturati dalla bellezza delle immagini, richiami, per chi li ha vissuti, ai tempi dei cortei di solidarietà con la guerra di liberazione in Vietnam e in Cambogia e con le lotte per l’indipendenza in Mozambico, di denuncia della dittatura portoghese in Angola e Cile e dell’apartheid in Sud Africa; ma anche preziosa opportunità offerta alle nuove generazioni per rimediare alle eterne carenze dei libri scolastici, usufruendo di una narrazione affidata alla potenza visiva e alla scarna cronaca di titoli e date.
I carteles della sezione dell’ OSPAAAL, organismo nato nel 1966, regalano agli occhi il Che secondo Olivio Martinez, Rafael Enriquez Vega, Helena Serrano, Alfredo Rostgaard; il sogghigno di un Nixon con la calotta cranica che contiene la foto di una strage in un villaggio vietnamita, immortalato da Luis Balaguer; ancora Rostgaard con il suo Cristo guerrillero, aureola intorno alla testa e fucile in spalla; le immagini del Che a cavallo tra le montagne della Sierra, solo o accanto a Carillo, ispirate alle tinte forti della Pop Art e firmate da René Mederos; il grido di un uomo nel cartel di Antonio Fernández Morino per la giornata di solidarietà con il Sud Africa; la rivolta del Mozambico, fissata da Enrique Martinez Blanco mettendo l’impugnatura di un mitra sotto la scritta Mozambique; i cappelli conici dei contadini del Vietnam visti dall’alto, capolavoro grafico di Ernesto Padrón Blanco; la crocifissione sul simbolo del dollaro, soggetto di Rafael Enriquèz Vega, per denunciare il Fondo Monetario Internazionale che rende schiavo il Terzo Mondo. Notevole il filone delle campagne sociali avviate dal DOR per il risparmio energetico e l’assistenza sanitaria: ad esempio il cartel di Félix Beltran dove la parola “Clik”, in giallo su fondo blu, esorta a non sprecare luce; il rubinetto dell’acqua rivolto verso l’alto, con la scritta ‘Ahorrala’, ‘risparmiala’, di Faustino Pérez Organero; il muso colorato di una motocicletta, mezzo di spostamento in uso alla Brigada Sanitaria, frutto della mano di Daysi Garcia.
L’ ICAIC vide la luce il 24 marzo 1959. Di nuovo sfogliando le pagine del catalogo, si incontra il saggio dello scrittore e giornalista Leonardo Padura Fuentes. Il vento della nostalgia soffia sul racconto del cinema Chic, ribattezzato Mantilla dalla rivoluzione «Noi bambini della mia covata, negli anni ’60 facemmo la rara esperienza di vedere sullo schermo di quel cinema qualche produzione nordamericana, non troppe pellicole sovietiche, ma soprattutto, a un ritmo di due film alla settimana, strane proposte dirette da Akira Kurosawa, Andrzej Waida, Vittorio De Sica, François Truffaut o Alain Resnais, anche se il massimo ce lo offrivano alcune piccanti (per gli standard di allora) commedie italo – francesi , il cui protagonista era quasi sempre Alberto Sordi».
I carteles che richiamavano adulti e bambini, Fuentes li descrive così «… ci forgiammo a poco a poco una parte di un’educazione sentimentale che venne integrata da un’altra forma di rapporto con il cinema: quei manifesti grandi poco più di un metro per 70 centimetri, stampati in serigrafia, nei quali, oltre al titolo del film, c’era sempre una scioccante proposta grafica che a volte riusciva persino a sconcertarci». È del 1964 il manifesto di Reboiro per Hara Kiri di Masaki Kobayashi: una macchia di sangue a forma di stella, con i caratteri che richiamano le canne del bambù; dieci anni dopo, Niko realizza per Il caso Mattei di Francesco Rosi un superman in volo (sul costume i marchi Esso, Shell e Bp), che, dentro due nuvole da fumetto, esclama «Este ‘caso’ es para… »; l’esperienza alla scuola grafica polacca porta Eduardo Muñoz Bach a scegliere forme caricaturali per Tony, te has vuelto loco (Cecoslovacchia, 1971) e una grafica efficace ed essenziale per Las tribulaciones de un chino en China (1966), pellicola italofrancese con Jean Paul Belmondo; René Azcui, nel 1970, affida a un volto di donna solarizzato in cui spiccano soltanto le due labbra rosse, il compito di attrarre l’attenzione su Besos rubados di Truffaut; Niko si cimenterà (1969) anche con El medico de la mutual, realizzando un cartel composto dalla radiografia di un torace, da arti superiori e inferiori mostruosi e da una chioma leonina vista da dietro; molti disegnatori sceglieranno Charlie Chaplin come icona di rassegne, documentari, festival. Afferma Fuentes «… il manifesto… si rivelò il territorio più innovativo e libero della propaganda cubana dell’epoca…
In una società che correva in fretta verso l’omogeneità, l’istituzionalizzazione e il controllo assoluto dei mezzi di diffusione da parte dello Stato, risulta curioso che il manifesto cinematografico sia riuscito a crearsi una specie di isola propria».
Governatore di quell’isola fu dal 1959 Alfredo Guevara, scomparso lo scorso anno, quasi novantenne. Nella sala di proiezione dell’ICAIC, gli artisti, dopo aver guardato il film, realizzavano il bozzetto di piccolo formato, annotandovi sopra indicazioni tecniche. Il lavoro passava poi alla serigrafia, dove un’altra arte, quella di arrangiarsi, dettava legge. Reboiro ricorda che per Hara Kiri «… il rosso venne fatto con farina di mais e tintura di mercurocromo».
Durante un periodo di mancanza totale di carta, lo stampatore Eladio Rivadulla rimediò comprando nella redazione di El mundo copie invendute del giornale. Su di esse, Rafael Morante disegnò il cartel per Un maledetto imbroglio di Pietro Germi «Utilizzai ciò che era stampato come un ulteriore elemento del progetto… Il risultato fu un’affiche strana, perché… un manifesto veniva stampato sulla seconda pagina e un altro sulla cinque o sulla otto, alcuni avevano fotografie e altri no…». Il film da andare a vedere, i cubani lo sceglievano attirati dai giganteschi poster stradali, oppure facendo girare le bacheche sospese sotto i paraguas, gli ombrelli metallici infissi nel selciato delle piazze e delle vie. Poi i carteles cominciarono a circolare.
Entrarono nelle case per arredare gli ambienti, e tuttora rappresentano un elemento decorativo molto amato; finirono nelle valigie dei registi, degli attori, dei giornalisti, che Cuba invitava per conoscere il nuovo cinema dell’isola e le campagne sociali; diventarono pezzi ambiti da gallerie e collezioni private. Il loro autentico valore, quello che si sottrae al metro di giudizio del denaro, è però tutto nelle parole di Niko «Abbiamo avuto la possibilità di realizzare una grafica che, malgrado gli anni trascorsi, è ancora valida e ci ha riempito di storia. Senza alcun dubbio è il massimo cui può aspirare qualunque artista».
¡Mira Cuba!, L’arte del manifesto cubano dal 1959
Spazi Espositivi Via Bertossi, Pordenone. Fino al 12 gennaio 2014
Orari: martedì/sabato 15.30 – 19.30, domenica anche 10 – 13
Catalogo, Silvana Editoriale, 20 €
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