I makers che sognano cure low cost
Stati uniti Il laboratorio sanitario, a metà tra la start up e il collettivo politico, nato a Brooklyn con l’obiettivo di produrre protesi a basso costo e ribaltare il rapporto fra l’1 e il 99%
Stati uniti Il laboratorio sanitario, a metà tra la start up e il collettivo politico, nato a Brooklyn con l’obiettivo di produrre protesi a basso costo e ribaltare il rapporto fra l’1 e il 99%
La complessa (e costosa) macchina della sanità americana. Un reduce dal Vietnam e un sacco di protesi da produrre. Tante parole un po’ abusate come «condiviso», «dal basso», «orizzontale». Aggiungete una stampante 3d e guardate il risultato. Quello che ne esce fuori non è la trama di un cattivo libro di fantascienza ma il progetto dell’Healt Maker Lab, un laboratorio di makers sanitari di Brooklyn nato con l’obiettivo di produrre protesi e strumenti medici a basso costo.
A metà fra la start-up e il collettivo politico, l’Healt Maker Lab è nato circa un anno e mezzo fa come gruppo di affinità fra appassionati di stampa 3d che si sono ritrovati – come succede a molti attivisti americani – sulla piattaforma online meetup.com. È effettivamente attivo da dicembre, cioè da quando ha ricevuto il permesso di operare da parte della Federal and Drugs Administration (l’ente americano che regola la messa sul mercato dei prodotti alimentari e farmaceutici). Oggi ne fanno parte circa quaranta membri, di cui una decina saldamente attivi e con le idee piuttosto chiare. Quello che lo differenzia dagli altri laboratori di stampa 3d è l’approccio di fondo, che è politico: «Il nostro obiettivo è ribaltare il rapporto che c’è fra l’1 e il 99% della popolazione», ammette esplicitamente Land Grant, fondatore dell’Healt Maker Lab.
Sessantacinque anni, una vaghissima somiglianza con lo Sean Connery anziano de Il nome della Rosa, Grant è un personaggio singolare e non solo per il suo nome, che in inglese significa «concessione terriera». Lo è soprattutto perché fino a qualche anno fa si occupava di tutt’altro: «Ho un diploma in letteratura inglese e sono andato alla Brown University, ma poi mi hanno chiamato per andare a combattere in Vietnam. Sono un eroe di quella guerra – ironizza – anche se in effetti non sono un reduce del Vietnam perché mi mandarono il mio reparto in una base in Germania». Per anni, racconta, il suo lavoro è stato vendere prodotti americani in Europa e in Asia. «Ho iniziato a interessarmi di stampa 3d solo quattro anni fa, quando mi è capitato di andare alla World Maker Faire, una grande fiera di makers che si fa ogni anno qui a New York, e ho capito che poteva avere enormi potenzialità in campo medico. Da lì ho provato a creare un gruppo che si occupasse di queste cose», spiega.
L’idea di fondo di Grant e degli altri membri dell’Healt Maker Lab è di utilizzare la stampa 3d per provare a produrre dispositivi biomedici low cost, allo scopo di «democratizzare» la sanità americana: una protesi prodotta con una stampante 3d può costare circa 150-200 dollari contro i 24-25 mila di una «tradizionale». In un Paese che spende – con pessimi risultati – circa il 17% del suo Pil in sanità, si capisce la portata che può avere la diffusione della stampa 3d. «Abbiamo davanti possibilità quasi infinite», spiega Grant con un certo trasporto. «Questo ci consente di mettere in discussione l’intero apparato sanitario così come è stato organizzato fino ad ora».
L’Healt Maker Lab segue il principio del Do It Yourself, in cui ognuno può imparare dagli altri maker e sperimentare a sua volta. Un’attitudine che curiosamente Grant fa derivare nientemeno che da Thomas Alva Edison, il geniale inventore della lampadina (e di molte altre cose, sedia elettrica compresa) che, da autodidatta, passò tutta la vita ad istruirsi. «Molte delle scoperte scientifiche degli ultimi secoli sono stati fatte da dilettanti come Thomas Edison», spiega Land Grant quando lo incontriamo in un piccolo parco di “Dumbo”, il distretto tecnologico alla punta settentrionale di Brooklyn. «Quello che avevano erano idee e duro lavoro. Noi rispetto a loro abbiamo il vantaggio della tecnologia, la possibilità di dividerci i compiti. Ecco, il mio sogno è che un giorno qualcuno prenda ispirazione dalla nostra idea, che in ogni città ci siano strutture per fornire dispositivi sanitari low cost».
Ex quartiere industriale, Dumbo si sviluppa fra il ponte di Brooklyn e quello di Manhattan, e deve il suo bizzarro nome proprio alla zona. L’acronimo infatti significa Down Under the Manhattan Bridge Overpass (sotto il ponte di Brooklyn), con la «O» per evitare l’assonanza – sgradita agli abitanti – con Dumb, cioè stupido. Fino agli anni ’90 Dumbo era un quartiere popolare (qui sono state girate molte scene di C’era una volta in America di Sergio Leone), poi l’arrivo di molti artisti in fuga dalla troppo costosa Manhattan ha dato il via alla gentrificazione del quartiere. I vecchi magazzini del periodo industriale sono stati presi in affitto a prezzi stracciati per realizzare loft, laboratori e atelier creativi. Così oggi Dimbo è una delle zone più care di New York e i suoi ex magazzini sono conosciuti come il «triangolo tecnologico di Brooklyn»: ospitano circa 1300 aziende e start up fra cui l’Healt Maker Lab.
Quello che però distingue l’Healt Maker Lab dai suoi “colleghi” non è solo il taglio “politico” del progetto, ma anche la volontà di creare una comunità di persone che collaborino attivamente fra di loro. «Il grosso problema degli Stati Uniti è quello di essere una società troppo capitalista dove è dato eccessivo spazio al profitto – dice Grant – e questo riguarda anche il mondo della stampa 3d». Se si parla delle sue applicazioni in campo medico, sono americane circa il 40% di tutte le aziende del settore, con un giro d’affari che solo nel 2015 ha generato un guadagno da 380 milioni di dollari. Ma gli esperti dicono che siamo solo agli inizi: si prevede che i guadagni dalla stampa 3d applicata alla medicina toccheranno il miliardo di dollari entro il 2022.
Al contrario l’Healt Maker Lab ha come modello di riferimento quello dei «citizien scientist». Figli dell’intuizione degli astronomi dell’università di Leeds, sono semplici cittadini che aiutano i ricercatori a catalogare l’enorme quantità di dati spuri raccolti di modo da velocizzare il lavoro. Un’idea che Grant cerca di portare dentro l’Healt Maker Lab : «Materie come la medicina, biologia e le neuroscienze vanno a toccare questioni sociali e politiche ed è per questo chiunque, nei limiti delle sue competenze, oggi può contribuire a dare una mano alla ricerca scientifica. Non dobbiamo più preoccuparci che esistano dei “guardiani della scienza” che vogliono rendere il sapere elitario. Noi facciamo altro. Siamo un gruppo no profit, il nostro scopo è quello di mettere la scienza al servizio dei cittadini», spiega Grant.
Difficile dire se il tentativo di rendere più equa la sanità americana portata avanti dall’Healt Maker Lab avrà successo o meno. Il gruppo è nato da poco e i suoi membri non nascondo le difficoltà: «Perché il nostro esperimento riesca ci servono anzitutto risorse, tempo, persone e denaro. Ovviamente denaro è la parte più difficile», ammette tranquillamente Grant . «Ma il nostro obiettivo di fondo però resta sempre lo stesso: ribaltare il rapporto fra l’1 e il 99%».
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