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I magneti, una irresistibile attrazione

I magneti, una irresistibile attrazione

Gli intramontabili E' qualcosa che sfuggendo a motivazioni razionali entra nella vita collettiva con un anota di frivolezza, una sensazione di appagamento

Pubblicato circa 9 anni faEdizione del 15 agosto 2015

Ci sono momenti della vita che, all’improvviso, spezzano il tuo orgoglio come se fosse un fragile grissino. Tac, e il tuo orgoglio va in pezzi. Tac, e il tuo orgoglio diventa un mucchietto di briciole da spazzare. Smarrito, ferito, muto, guardi la graziosa e qualificata commessa del negozio di saponi e schiume artigianali, involontaria carnefice del tuo orgoglio, devastatrice di certezze costruite in anni e anni di ricerche, di scelte oculate, di cacce al tesoro condotte in mezzo mondo. Eri entrato per fare provviste da destinare al bagno di casa. Mentre passavi di scaffale in scaffale esaminando etichette e annusando profumazioni, lo sguardo era andato verso la cassa. La graziosa e qualificata commessa sedeva avendo accanto “loro”, sul lato destro del bancone. “Loro” non avevano niente a che fare con la cosmesi. Ti eri avvicinato per guardarli meglio, nuove e ambite prede. Poi, non senza una certa arietta da uomo vissuto, avevi buttato lì «Belli, quasi quasi ne prendo un paio e li aggiungo ai settanta/ottanta che ho già». Lei, la commessa, ti aveva guardato sfoderando un sorriso al massimo della sua ampiezza. A ripensarci adesso, un sorriso forse venato di una sottile e tagliente ironia. Poi, con voce suadente, a ripensarci adesso non così suadente, se ne era uscita rispondendo «Io ne ho quattrocentosessanta». Ed eccolo, il tuo orgoglio che diventa un grissino, va in mille pezzi, si polverizza in mille briciole. L’episodio, autentico, impone a questo punto di spiegare chi siano “loro”. Nel doloroso caso specifico erano oleografiche fanciulle chine sui campi di lavanda, oppure in cima a una rustica scala per cogliere i frutti dell’ulivo, o ancora intente a scovare erbe odorose nei prati. In generale, “loro” possono essere tutto e tutto in miniatura: uno scorcio di città, una confezione di spaghetti, un aforisma spiritoso, la faccia di una rockstar, un monumento famoso, un boccale di birra, il santino di Padre Pio o di papa Francesco, un pulcinella, una barca da pesca, un pupo siciliano, una pizza nel piatto, la riproduzione di un’opera d’arte. E via, a non finire mai l’elenco. “Loro” sono i magneti, il più formidabile tra i gadget inventati negli ultimi vent’anni, l’oggetto che ha sostituito la cartolina, il nuovo feticcio del Secolo Breve, che continua a marciare trionfale nel superfluo indispensabile del Terzo Millennio. Altro che marziani e ultracorpi. Il mondo è invaso dai magneti, i frigoriferi delle case sono sepolti dai magneti, non pochi studi di insospettabili intellettuali e compunti professionisti hanno un angolo nascosto e consacrato ai magneti. E le strade urbane? Provate a percorrere con attenzione messa a fuoco le vie dello shopping nella vostra città. Non c’è tabaccaio, cartoleria, bancarella, negozio di souvenir che non esibisca la sua più o meno bella esposizione di magneti. Lo stesso vale per i book shop dei musei, per le manifestazioni culturali, per i concerti di musicisti titolati. Vale più che mai per le chiese che attraggono, come magneti, i turisti, e a loro vendono magneti in odore di misticismo. Durante l’ostensione della Sindone, il presunto volto di Cristo formato calamita era tra i ricordi più gettonati della pia kermesse. Notevole la versione Nazareno in 3D, proposta con disinvoltura commerciale da un negozio di abbigliamento alternativo un sacco.

Come siano nati i magneti, chi li abbia inventati sono domande che paiono destinate a rimanere senza risposta, identiche a quelle sulle origini delle barzellette e i loro creatori. Un fatto è certo: poche sono le zone del pianeta ancora immuni dalla magnetomania. Non dureranno molto. Forse solo gli abitanti delle isole di Edgeøya e Barentsøya, arcipelago delle Svalbard, saranno sempre troppo impegnati a lottare contro il ghiaccio e il vento per pensare ad altro. Ma c’è da giurare che a Komodo, una delle Piccole Isole della Sonda, il magnete dei voraci varani verrà messo in commercio, se già non è avvenuto. Quanti milioni di magneti si producono nei cinque continenti? Impossibile saperlo, a meno di non contattare una per una le centinaia di aziende del settore. Modesto termine di riferimento può venire da un nome italiano specializzato in tema, la Promuoviamoci.it Società Cooperativa, Nord della nostra penisola. Qui si sfornano circa trecentomila pezzi l’anno, di diverse forme e misure. Cifre di portata assai superiore si registrano in Spagna e Polonia, favorite da tasse meno pesanti e costi di manodopera concorrenziali. E non è difficile immaginare i quantitativi ciclopici che arrivano dalla Cina sulla base di commesse estere ottenute a condizioni economiche stracciate, poi distribuiti in Europa e nel mondo. Navigando su Internet senza eccessivo impegno, si incontrano a bizzeffe nomi di produttori di magneti. Il giro di affari della Promuoviamoci gravita intorno al turismo, ma sta crescendo la richiesta degli organizzatori di eventi e manifestazioni. Gustosa e sorprendente la fetta di mercato costituita dai matrimoni «Tantissimi sposi si rivolgono a noi per completare la bomboniera con una bella calamita a ricordo delle nozze». Anche la pubblicità vuole la sua parte. Sempre alla Promuoviamoci, constatano soddisfatti «Abbiamo lavorato per campagne pubblicitarie basate sulla guerrilla marketing (triste fine di una tattica bellica rivoluzionaria, ndr) stampando calamite flessibili in sostituzione del classico volantino. Costano poco e si possono attaccare alle auto, ai pali della luce, nelle cabine telefoniche, ai semafori. Insomma: ovunque ci sia del metallo». Rispetto al classico volantino, che si toglie dal parabrezza o dalla buca delle lettere, non si degna di uno sguardo e si butta via, il magnete pubblicitario finisce in tasca. Destinato alla propria collezione, o a quella di un parente o di un amico. Il gioco è fatto, perché il rettangolo colorato diverrà presenza fissa sul frigo, e al momento di acquistare una confezione di caffè, chiamare l’idraulico, fare un trasloco, c’è da giurare sulla bontà del suo effetto persuasivo.

Risulta giusto e inevitabile, adesso, domandarsi chi sia il collezionista di magneti. Giri l’interrogativo alla Promuoviamoci, e in cambio ricevi parole il cui tono riporta alla scena madre di Blade Runner, il monologo cupo di Rutger Hauer «Abbiamo visto frigoriferi e case invase da calamite di ogni tipo e raffiguranti immagini da tutto il mondo». Miodio! Dunque è l’apocalisse, la tempesta magnetica perfetta? No. Semplicemente l’ennesimo esempio di qualcosa che, sfuggendo a motivazioni razionali, a considerazioni ragionate, entra nella vita collettiva portando una nota di frivolezza, una sensazione di appagamento, al bambino che sonnecchia in ciascuno di noi. Il magnete piace, a cominciare da chi non lo cerca per collezionarlo ma per farne dono. E nel cercarlo ci mette impegno, desiderio di stupire, voglia di suscitare l’effetto sorpresa. È, insomma, un gesto di amicizia o di affetto che può essere paragonato a un regalo ben più importante sotto il profilo economico. Il destinatario, e questa è un’altra valenza significativa, non si chiederà mai quanto è costato quel magnete, visto che i prezzi sono più o meno standard. Ma gli conferirà un valore incommensurabile, dato dall’originalità del soggetto e dalla sua provenienza. Detto questo, l’interrogativo torna: chi è il cacciatore di magneti? Da quindici anni, RAI Tre manda in onda alle 20 e 35 una telenovela che in parte sfugge a questa catalogazione, e meno che mai a quella di soap opera. Si chiama Un posto al sole. Di primo acchito verrebbe da pensare a un pubblico di donne di casa, ragazzine sognatrici, signore anziane. Sbagliato, in parte. Le ricerche condotte su chi guarda Un posto al sole hanno evidenziato una platea di aficionados fatta sì delle categorie sopra elencate. Cui si aggiungono però, e in percentuali tutt’altro che trascurabili, rappresentanti a vario titolo della fascia sociale medio alta e alta, sia per reddito che per tipologia di lavoro. Il termine aficionados indica gente per cui l’appuntamento delle 20 e 35 è un impegno fisso, e se si va a cena fuori, o si invitano a casa gli amici, ciò avviene sempre dopo le 21; se si è in vacanza, tanto più la mezz’ora di Un posto al sole ne fa parte; se gli impegni portano oltre confine, al ritorno si scaricano in streaming dal sito ufficiale le puntate perse. Le ricerche condotte dalla Rai hanno tracciato con una certa precisione l’identikit del telespettatore di Un posto, non riuscendo però ad avere risposte altrettanto esaurienti sul perché di tanto coinvolgimento. Mi piace, mi rilassa, è fatta bene, tratta temi di attualità, gli attori sono bravi, mi diverte, sono le dichiarazioni che tornano con maggior frequenza. Non bastano per spiegare tanto successo. Bastano, invece, per poter affermare che l’interminabile fiction girata a Napoli muove leve dell’inconscio intraducibili con le parole. Ecco: forse per il magnete avviene la stessa cosa, e il suo pubblico somiglia a quello di Un posto al sole. Dunque ci rientri tu, la graziosa e qualificata commessa e, sfogliando il tuo taccuino, un’amica che lavora al Senato della Repubblica, un’altra all’ufficio del personale di una grande azienda, un attore di buona notorietà, un musicista di area indipendente, un biologo, una dj milanese da notti intere al microfono, un critico letterario, una maestra di discipline orientali, una giornalista di cronaca nera, un barista. Nessuno di loro, come avviene nel caso degli spettatori di Un posto al sole, nasconde la propria passione, anzi la esibisce mostrandoti un nuovo arrivo, e, saputo che stai per metterti in viaggio, ti commissiona l’acquisto di un magnete. ‘Che non sia la solita paccottiglia per turisti’, si raccomanda. Tuo personale ricordo è il regalo di un carissimo amico quando la lunghissima parentesi di vita romana stava per concludersi. Dentro una scatola zeppa di souvenir della Città Eterna, volutamente all’insegna del kitsch, troneggiava un magnete raffigurante il busto di un Giulio Cesare sorridente a dispetto dei pugnali conficcati nel petto, con lo sfondo del Colosseo.

Dunque, alla resa dei conti, tracciare un profilo del maniaco del magnete risulta impossibile? Forse sì, però almeno una fonte cui attingere ce l’hai. Certo, se pensi al tuo orgoglio spezzato al pari di un fragile grissino… Metti da parte le intime lacerazioni d’animo e torni a varcare la soglia del negozio di saponi e schiume artigianali. La graziosa e qualificata commessa è sempre lì, dietro il bancone. Saluta, sorride, ascolta la richiesta, accetta volentieri l’intervista. Dati salienti: nome Valeria, età venticinque anni, inizio collezione intorno ai quindici «Fin da bambina andavo in vacanza in Francia, dove ho scoperto i miei magneti preferiti, quelli che rappresentano il cibo, lì ce ne sono tantissimi. Partendo dalla baguette, dal panino, dai limoni di Mentone, ho allargato il campo, all’inizio senza fare distinzioni. Poi i miei genitori, i miei nonni, gli amici hanno cominciato a portarmi magneti molto carini, alcuni davvero particolari. Venivano, e vengono, soprattutto dall’estero. In Italia la scelta è decisamente più ristretta». Come galleria espositiva anche Valeria sceglie il frigo, sconfinando sulla superficie metallica del forno a microonde «Quando, però, mi sono dichiarata collezionista ufficiale, tutti se ne arrivavavno con un magnete, e il numero è andato aumentando in maniera notevole. Il frigo non bastava più. Allora mia madre, visto che aveva comprato un frigo nuovo e imposto il divieto di ‘affissione’, decise di regalarmi una lavagna speciale per attaccarli. Adesso sono otto e si portano via un bel po’di spazio sulle pareti della mia camera». Tutto a posto e niente in ordine? Al contrario. Il patrimonio di Valeria è stato diviso in aree tematiche: oltre al cibo e alle scritte di città, animali, insetti, Hello Kitty, ciabattine infradito da vari luoghi di mare (Liguria, Spagna, Grecia, Egitto, Rodi), aforismi tra i quali ‘Questa casa non è un albergo’. Innamoramento recente i magneti che riproducono sacchetti di pasta, scatole di pelati, lattine di bibite, confezioni di biscotti, detersivi e detergenti, con il marchio di aziende famose. E adesso, cara Valeria, la domanda trappola, piccola rivincita che ti lascerà muta: cos’è per te un magnete? Nessun silenzio «Per me è un’alternativa al classico soprammobile appoggiato lì a prendere polvere. È vivo, colorato, lo rendi visibile mettendolo in un luogo non consueto e in una posizione strana»: Chi è, secondo te, il collezionista di magneti? «Uno che vuole portarsi a casa il ricordo di qualcosa che lo ha particolarmente colpito durante un viaggio. Un piatto della cucina, un quartiere, una persona famosa. È una ricerca più intima e personale rispetto al normale souvenir». Risposta plausibile, e tuttavia non esauriente. Torni a casa, guardi il frigo, ripensi alla cura con cui, periodicamente, o in occasione di una new entry, disponi per analogie i tuoi settantasei magneti. Ne stacchi uno, appena comprato. La frase stampata in bianco su fondo rosso fuoco recita ‘Io ti amavo. Poi ho capito che era imperfetto’. Lo rimetti a posto, ne stacchi un altro, una vetrata di chiesa dove il santo è John Lennon, indice e medio alzati in segno di vittoria, la scritta ‘In rock we trust’. Valli a capire, questi collezionisti di magneti.

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