Anche se gli studi per prolungare la durata della vita promettono purtroppo un aumento esponenziale dei vegliardi, è quasi certo che nel 2099 né chi scrive questa rubrica, né chi la legge, sarà qui per decidere se davvero L’amica geniale di Elena Ferrante merita il primo posto nella classifica dei cento titoli più belli del ventunesimo secolo stilata dal New York Times. Nel frattempo, si spera, altri libri saranno stati letti e amati, altre liste saranno state compilate.

Del resto, come ha notato M. A. Orthofer su Literary Saloon, l’iniziativa del quotidiano newyorchese non è una novità. Già il Guardian nel 2019 aveva lanciato The 100 best books of the 21st century e un anno prima Vulture aveva proposto un Premature Attempt at the 21st Century Canon (detto per inciso, in entrambi gli elenchi il libro di Elena Ferrante compariva, ma non al primo posto). Che in Italia la classifica elaborata dal New York Times sia stata appassionatamente commentata, non sorprende. Come non sorprende la scarsa attenzione verso l’iniziativa dimostrata in Francia: pochi trafiletti asciutti, tra cui quello di Ugo Loumé su ActuaLitté, dove si nota fra l’altro con malcelato disappunto che sui cento libri segnalati solo uno è francese, Gli anni di Annie Ernaux, al trentasettesimo posto.

Relativamente poco, però, si è scritto sui meccanismi dell’operazione, ennesima testimonianza del dispiegamento di forze che il New York Times è capace di mettere in campo e di cui fa spesso prova e sfoggio (impressionante, per esempio, il numero di giornalisti chiamati per coprire qualche settimana fa il dibattito Biden-Trump: ben 60, in modo che non sfuggisse neppure una battuta o un’espressione dei due contendenti – così tanti, che viene spontaneo chiedersi se l’enfasi sulle goffaggini di Biden non sia l’effetto anche di questa attenzione spasmodica a monte). Per avviare il «progettino» della classifica, come lo definisce per scherzo in una sua newsletter Joumana Khatib, senior staff editor della sezione Books, ci sono voluti mesi di lavoro congiunto di due comparti del quotidiano, quello appunto dedicato ai libri, e Upshot, la sezione di giornalismo analitico, necessaria perché l’enorme mole di dati ricavati dall’iniziativa si traducano in informazioni utili per rendere il New York Times un «prodotto» sempre più funzionale sotto ogni punto di vista.

La prima fase, naturalmente, ha visto la partecipazione degli esperti (scrittori, accademici, giornalisti, critici, editori, poeti, traduttori, librai, bibliotecari), ai quali è stato chiesto di indicare i dieci libri migliori di questo quarto di secolo, secondo ampi criteri di scelta: «Abbiamo lasciato che ognuno definisse il termine ‘migliore’ a modo suo. Per alcuni significava semplicemente ‘il libro preferito’. Per altri, un testo che sarebbe durato per generazioni». Unica regola: i libri dovevano essere stati pubblicati negli Stati Uniti, in lingua inglese, traduzioni incluse, a partire dal 1° gennaio 2000.

In un secondo momento, «gli intervistati hanno avuto la possibilità di rispondere a una serie di domande in cui hanno scelto il loro testo preferito tra due titoli selezionati a caso». Dalla combinazione dei dati e dei quesiti è nato l’elenco che abbiamo sotto gli occhi e che dietro le parvenze di un gioco letterario si rivela una poderosa macchina di profilazione e di incassi per il New York Times, visto che ogni titolo è accompagnato, oltre che da una scheda introduttiva, da «consigli per gli acquisti», del tipo «se ti è piaciuto X, potresti aver voglia di leggere anche Y», con tanto di link per accedere immediatamente a una libreria online. Nulla di male, per carità, ma siamo sicuri che la letteratura c’entri qualcosa?