I lavoratori (e collaboratori) dello sport: fantasmi materializzati nella pandemia
Sport Assemblea nazionale dei sindacati confederali e protesta in Campidoglio. «Urgente affermare i diritti e riconoscere le professionalità»
Sport Assemblea nazionale dei sindacati confederali e protesta in Campidoglio. «Urgente affermare i diritti e riconoscere le professionalità»
Sono tempi duri per lo sport. Palestre e piscine chiuse; campionati di calcio inferiori alla serie C interrotti; competizioni ed eventi sospesi. Il vortice del Covid-19 ha trascinato giù, insieme alle migliaia e migliaia di persone che fanno sport, anche i lavoratori del settore. Per dare visibilità alla loro condizione Slc Cgil, Fisascat Cisl, Uilcom, Felsa Cisl, Nidil Cgil e Uiltemp hanno tenuto ieri un’assemblea nazionale online. Oltre 200 i lavoratori coinvolti. Dall’incontro sono emersi numerosi problemi nell’accesso alle misure emergenziali stanziate dal governo, ma anche l’urgenza di una riforma strutturale del settore. La richiesta principale: un tavolo permanente con ministero dello Sport, Coni e associazioni di categoria.
Secondo le stime dei sindacati intorno al comparto sportivo dilettantistico ruotano circa 40mila lavoratori dipendenti e oltre 500mila collaboratori sportivi. Questa seconda categoria versa in condizioni di precarietà estrema, perché è esclusa dal sistema ordinario del diritto del lavoro. La legislazione che la riguarda, infatti, è stata pensata per soggetti che svolgevano le loro attività come hobby o seconda occupazione. I collaboratori sportivi sono considerati solo dal punto di vista fiscale, ma non come veri e propri lavoratori: non versano i contributi e non conoscono parole come pensione, malattia, infortunio e genitorialità. Fino alla pandemia sono stati invisibili. «Durante la crisi sanitaria numerose categorie hanno avuto una sorta di emersione – afferma Sabina Di Marco, segretaria nazionale Nidil Cgil – Grazie all’azione sindacale anche i collaboratori sportivi hanno potuto percepire le indennità: 600 euro nella prima ondata e 800 con i ristori. Una cosa dirompente per dei lavoratori che sono sempre stati esclusi da ogni misura».
I problemi, però, sono di lungo corso e non si risolvono con interventi una tantum. Per questo i sindacati spingono per una riforma del settore attraverso una legge organica sullo sport che «superi l’esclusiva distinzione fra dilettantismo e professionismo e riconduca tutto il lavoro sportivo al sistema giuslavoristico ordinario e al diritto del lavoro». Contemporaneamente, e in particolare in questa fase pandemica, le organizzazioni sindacali chiedono il sostegno alle imprese sportive per scongiurare il rischio di desertificazione.
Sempre ieri, nel primo pomeriggio, si è tenuta un’iniziativa sugli stessi temi davanti al Campidoglio, sotto la statua di Marco Aurelio. Hanno partecipato un centinaio di persone, soprattutto lavoratori sportivi della capitale sostenuti dai sindacati Usb e Clap. «Chiediamo il riconoscimento dei nostri diritti di lavoratori subordinati e quello della funzione sociale che svolgiamo. Le realtà sportive di base devono essere aiutate, anche attraverso il blocco di bollette e affitti», ha detto al microfono Nunzio D’Erme, ex consigliere capitolino e lavoratore della piscina comunale del Tufello. In piazza c’erano anche le «palestre popolari», una storia romana che nasce negli anni ’90 dall’intreccio tra la tematica dell’accesso universale allo sport e l’esperienza dei centri sociali. Oggi ne esistono in molti quartieri: San Lorenzo, Tufello, Quarticciolo, Cinecittà, Quadraro, Tuscolano, Prenestino, Centocelle. Anche loro, come tutto il mondo dello sport, vivono un periodo difficile.
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