I jihadisti ribelli rifiutano la resa, falliti i negoziati con i russi
Siria Prosegue l'offensiva dell'esercito governativo nella Siria sudoccidentale contro le roccaforti islamiste. Appello di Antonio Guterres a favore delle decine di migliaia di civili fuggiti dalla regione di Deraa
Siria Prosegue l'offensiva dell'esercito governativo nella Siria sudoccidentale contro le roccaforti islamiste. Appello di Antonio Guterres a favore delle decine di migliaia di civili fuggiti dalla regione di Deraa
Si continua a combattere nella Siria meridionale dopo il fallimento ieri dei negoziati per la resa delle forze islamiste e jihadiste di fronte all’offensiva lanciata dall’esercito siriano due settimane fa e che si è intensificata negli ultimi giorni. Dopo ore di trattative il comitato di sei rappresentanti dei gruppi “ribelli” delle regioni di Deraa e Quneitra ha respinto le condizioni poste dai russi giudicandole «inaccettabili» poiché prevedono la consegna di tutte le armi, leggere e pesanti, e la restituzione immediata alle forze governative del valico di frontiera di Nassib con la Giordania. «Inaccettabili» ma le uniche possibili. I jihadisti non possono far altro che arrendersi dato che l’offensiva dei governativi, appoggiata dall’aviazione russa, è inarrestabile e destinata a riprendere in breve tempo il controllo di un territorio strategico a ridosso della Giordania e delle linee israeliane sul Golan occupato. Peraltro già otto città del sud della Siria sono tornate sotto il controllo di Damasco sulla base di un accordo negoziato con la Russia.
Con la mancata resa delle formazioni islamiste è destinata ad aggravarsi la condizione degli sfollati di Deraa e di altri centri abitati coinvolti in combattimenti e bombardamenti che, secondo fonti siriane non ufficiali, avrebbero ucciso già 116 civili. L’Onu parla di almeno 50mila sfollati ammassati in condizione di estrema precarietà nei pressi del Golan e vicino al confine con la Giordania – che insieme a Israele ha chiuso le frontiere – ma secondo altre fonti il numero totale dei civili costretti ad abbandonare le loro case sarebbe tre volte più grande. Appelli a cessare subito gli scontri e i bombardamenti sono giunti dal Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres e dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr), Zeid Raad al Hussein. Guterres ha invitato «tutte le parti a rispettare i loro obblighi ai sensi del diritto umanitario internazionale e della legge sui diritti umani, a proteggere i civili e a facilitare un accesso umanitario sicuro, senza impedimenti e duraturo». Per l’Alto commissario al Hussein vi è il grave rischio che i combattimenti intrappolino molti civili ai quali, ha denunciato, in alcuni posti di blocco irregolari verrebbe chiesto il pagamento di una tassa per andare nelle aree sotto il controllo dei governativi.
Dopo aver liberato i sobborghi di Damasco, l’esercito siriano sta ora per prendere il controllo di una delle ultime regioni, dove gli islamisti ribelli mantengono delle roccaforti, togliendo così altra capacità di manovra politica all’opposizione siriana sostenuta dalle monarchie sunnite del Golfo, dagli Stati uniti e da alcuni paesi europei. Tuttavia la guerra in Siria è destinata a placarsi solo in parte e la stabilità del paese rimarrà comunque precaria. Le strategie degli Stati uniti e dell’Arabia saudita unite a quelle di Israele proprio nel sud della Siria, puntano a compromettere gli sbocchi politici della vittoria militare ottenuta dalle forze fedeli al presidente Bashar Assad con l’aiuto della Russia, dell’Iran, del movimento sciita libanese Hezbollah e di combattenti sciiti giunti da diversi paesi. Il vertice a metà mese tra Donald Trump e Vladimir Putin avrà in agenda anche la crisi siriana e qualche giorno fa il giornale panarabo al Hayat scriveva che il presidente americano, spinto anche dal governo Netanyahu, insisterà affinché Mosca imponga all’Iran il ritiro completo delle sue forze e dei suoi consiglieri militari attualmente in Siria e non solo il loro allontanamento dal sud della Siria e dalle linee controllate dagli israeliani.
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