I «grandi» riaprono di fretta, i «piccoli» rischiano il crac
Fase Due Con il via libera a chi è legato all’export gran parte dell’industria è aperta. Commercio e turismo: più di un milione di posti a rischio. Re David: attivo il 70% delle ditte metalmeccaniche, ma non avranno mercato per la crisi da pandemia
Fase Due Con il via libera a chi è legato all’export gran parte dell’industria è aperta. Commercio e turismo: più di un milione di posti a rischio. Re David: attivo il 70% delle ditte metalmeccaniche, ma non avranno mercato per la crisi da pandemia
Sotto la pressione della nuova Confindustria – ieri il presidente degli industriali di Vicenza Vincenzo Vescovi ha dichiarato convinto: «Sogno un paese in cui il ministro dell’industria, come in Francia, mandi una lettera di elogio e di ringraziamento agli imprenditori» – le aziende che hanno riaperto ieri sono molte di più del numero atteso. La fretta del falco neopresidente Carlo Bonomi è stata un po’ frenata dal Dpcm firmato da Giuseppe Conte, ma ci hanno pensato i prefetti e il sistema del silenzio-assenso a dare il via libera alla qualunque, basta dirsi «legato all’export» e il gioco è fatto.
«Da ieri è in attività il 60-70% delle fabbriche metalmeccaniche ma con circa la metà, se non meno, dei dipendenti», stima la segretaria generale della Fiom Francesca Re David. «Grazie agli scioperi e alla mobilitazione, i protocolli tra aziende e sindacati si sono estesi, consentendo la programmazione di molte ripartenze in sicurezza. La settimana scorsa – continua Re David – è ripartito il settore dell’elettrodomestico e ora quello dell’automotive che mette in moto l’indotto».
IERI HA RIAPERTO ANCHE WHIRLPOOL di Napoli – la fabbrica che la multinazionale americana vuole chiudere – mentre Electrolux aveva già riaperto a Porcia e Susegana, gli stabilimenti più grandi, con un numero limitato di lavoratori.
In testa alla graduatoria c’è sicuramente Fca. Ieri il gruppo ex Fiat a riaperto tutti i suoi stabilimenti, anche grazie al Protocollo aziendale sottoscritto unitariamente con i sindacati, diventato avanguardia per quello nazionale, firmato venerdì scorso. Ma se a Melfi, Mirafiori e Pomigliano lavorano poche centinaia di operai, alla Sevel di Atessa ieri sono tornati al lavoro buona parte dei 6mila addetti dello stabilimento della Val di Sangro che sforna il Ducato.
ATTILIO È TORNATO DOPO UN MESE e mezzo a farsi i 50 chilometri di viaggio giornalieri dalla Val di Pescara per arrivare in fabbrica. Il suo umore ieri era lo stesso di tutti i suoi colleghi. «C’è ansia e paura, inutile negarlo. Ci sono masse di lavoratori che entrano e escono, che si incontrano, assembramenti, gente che timbra, che si cambia negli spogliatoi. Sforzi per mettere in sicurezza i lavoratori ne sono fatti, specie nei trasporti: l’azienda regionale ha raddoppiato le corse, all’interno della fabbrica ci sono i distanziamenti, ma siamo preoccupati. Il virus ci fa paura inutile nasconderlo», conclude.
Cosa spinge gli operai a tornare al lavoro molto spesso è la necessità di uno stipendio pieno. Il rovescio della medaglia è che i lavoratori metalmeccanici sono una sparuta minoranza rispetto a chi un lavoro rischia di perderlo per sempre.
«Il problema – riassume Francesca Re David – è che le imprese che hanno spinto per riaprire si troveranno a fare i conti con un mercato fermo: la povertà è in aumento e la situazione non sarà facile da gestire».
GRAN PARTE DEI SETTORI economici è al collasso e gli aiuti decisi dal governo non bastano. «La Fase 2 rinvia la riapertura degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e di tante attività del turismo e dei servizi. Ogni giorno di chiusura in più produce danni gravissimi e mette a rischio imprese e lavoro», denuncia il sempiterno presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, stimando in 50mila le piccole imprese a rischio chiusura. «In queste condizioni – sottolinea – diventa vitale il sostegno finanziario alle aziende con indennizzi a fondo perduto che per adesso non sono ancora stati decisi. Bisogna invece agire subito e in sicurezza per evitare il collasso economico di migliaia di imprese». «Chiediamo – conclude Sangalli – al presidente Conte un incontro urgente, anzi urgentissimo per discutere di due punti: riaprire prima e in sicurezza; mettere in campo indennizzi e contributi a fondo perduto a favore delle imprese».
Il settore più colpito è però certamente il turismo. «Non usiamo l’alibi dell’Europa mentre ancora aspettiamo concreti interventi nazionali per il settore dall’inizio della crisi», attacca il presidente di Confturismo Luca Patanè, commentando la richiesta del ministro Dario Franceschini fatta agli omologhi ministri europei per un Fondo Europeo Speciale per il turismo. «Registriamo – dice – dati drammatici, altro che i 20 miliardi di euro di perdita di spesa dei turisti stranieri previsti da Enit. Saranno almeno 3 volte tanto, considerando anche i settori che ruotano intorno al turismo, più altrettanti sulla spesa dei turisti Italiani: quindi ben 120 miliardi di riduzione consumi da qui a fine anno e più di 1 milione di posti di lavoro a rischio».
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