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I giovani turchi non mettono la testa sotto la sabbia

I giovani turchi non mettono la testa sotto la sabbiaMatteo Renzi – Lapresse

Replica a Franco Monaco Evocare scissioni solo perché si dissente su un punto della legge elettorale, significa fare a pugni con la migliore tradizione riformista della sinistra italiana

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 25 marzo 2015

Invidio Franco Monaco perché trova il tempo per produrre, con ammirevole stachanovismo, numerosi articoli e riflessioni sul Pd che leggo con interesse. L’ultimo pubblicato, domenica scorsa sul manifesto, non risparmia accuse alle aree presenti nel Pd, cito: «Da un anno a questa parte, abbiamo assistito allo spettacolo non edificante di un riposizionamento di massa di parlamentari e dirigenti Pd e al reclutamento da altri partiti di ceto politico in cerca di sistemazione. Con casi davvero imbarazzanti. Penso a chi, come i «giovani turchi», in passato bollarono i governi dell’Ulivo, come subalterni al paradigma della «terza via» e oggi sono decisamente schiacciati su una linea decisamente più moderata e centrista», invoca la nascita di un nuovo soggetto a sinistra e merita, quindi, una risposta.

Trovo il suo suggerimento e le sue critiche del tutto sbagliate e spiego perché.

Intanto, un aspetto personale come coordinatore dei deputati di Rifare l’Italia. Ho fatto per sei anni il segretario di sezione, sei quello cittadino, sette quello provinciale. Giorni da dipendente di partito: zero. Costi per i partiti dove ho fatto il militante e il dirigente: zero. Sono stato eletto consigliere comunale a Varese e cinque anni dopo ho quasi raddoppiato le preferenze, eletto consigliere regionale in Lombardia, cinque anni dopo le ho più che raddoppiate. In tempi di rottamazione ho vinto, unico deputato uscente, maschio, di Lombardia Nord, le primarie nella mia Provincia.

Se Renzi mi dice che gli asini volano, non ci credo. Solo perché, nipote di contadini, da bambino trascinavo l’asino di mio nonno, spesso con fatica, dalla vigna alla stalla. Non volava.

Capisco che per i professori la tentazione di impartire sempre lezioni a tutti sia irresistibile. Sicuramente la categoria del politico «in cerca di sistemazione», non mi si addice. Non ho alcuna intenzione di ricandidarmi. Non ho usato, né mai userò, nei confronti dei protagonisti della stagione dell’Ulivo, si chiamino Prodi o D’Alema, Veltroni o Bindi, Fassino o Gentiloni, Bersani o Fioroni, parole offensive. Mi limito a valutazioni politiche.

Quella stagione è stata densa di passioni, impegni, risultati, ma anche di limiti, personalismi, occasioni perse, riforme mancate. Non ho votato Renzi segretario. L’ho votato Presidente del Consiglio, convinto della necessità di dare una scossa e creare un feeling tra Governo e società italiana. Difficile negare l’evidenza. Gli 80 euro sono stati una concreta operazione di redistribuzione sociale. La riforma costituzionale e quella elettorale non hanno nulla di eversivo.

Evocare scissioni solo perché si dissente su un punto della legge elettorale, significa fare a pugni con la migliore tradizione riformista della sinistra italiana. Il jobs act sta dando i primi risultati. Dopo di che non mi sfugge che viviamo in un Paese di furbi e, quindi, occorrerà rafforzare gli ammortizzatori sociali e quella cultura del controllo da noi così carente pressoché in ogni campo.

Sulla corruzione. I frutti velenosi di Berlusconi, falso in bilancio, legge Cirielli, sono ormai recisi. Si stanno facendo decisi passi avanti su autoriciclaggio, reati ambientali, codice degli appalti.

L’accordo con la Svizzera, paese con il quale il nostro scambio commerciale è ben superiore a quello con l’India, che abbatte il muro del segreto bancario, è un imbroglio come dice Salvini o un risultato storico che favorirà rientro di capitali e lotta all’evasione? Sono linee moderate e centriste?

Su questi e altri temi i cosiddetti giovani turchi hanno cercato di «stare sulla palla» con la loro cultura riformista, propria di una sinistra attenta al Paese reale. Sul jobs act, per esempio, si è lavorato con impegno sulle partite Iva, sui regimi minimi, senza nascondere il dissenso sui licenziamenti collettivi.

Da quando ho accettato, non senza riserve, di dare una mano ai miei colleghi, abbiamo regolarmente affrontato, insieme, problemi e passaggi politici. Non abbiamo la testa sotto la sabbia. Sappiamo che il grado di fiducia dei cittadini nei confronti del Parlamento è del 7 per cento e dei partiti del 5. Ci sono circa 10 milioni di poveri. La disoccupazione giovanile sfonda il 40 per cento. La pace e la sicurezza sono a rischio nel Mar Mediterraneo. Lo spread è crollato, ma il debito pubblico vola oltre 2165 miliardi. Serve pertanto una politica industriale più efficace senza la quale non si crea ricchezza e valore aggiunto. Senza rilancio della crescita, madre di tutte le battaglie, invocare più risorse per scuola, cultura, ambiente, sanità, pensioni, è come abbaiare alla luna.

Siamo persuasi che una legge elettorale che premi le liste, imponga una riforma del partito i cui limiti emergono, con evidenza, da Nord a Sud. Essere convinti che il grande risultato delle europee è dipeso soprattutto dalla capacità di Renzi di sconfiggere il linguaggio della paura con quello della speranza, non significa essere schiavi del pensiero unico, ma solo banalmente rispettosi della realtà.

Per noi il Pd, punto di forza del Pse, ha nella pace, libertà, giustizia sociale, diritti civili, onestà, solidarietà, merito, i suoi valori di fondo. Per questi valori ci battiamo nel Pd, senza alcun imbarazzo e subalternità culturale, avendo da gran tempo superato il culto della personalità.

Al collega Monaco, come a numerosi compagni cui sono legato da tante comuni battaglie, con umiltà e amicizia, suggerirei di leggere la bellissima favola del topo e del gatto scritta da Gianni Rodari, il più grande scrittore italiano per bambini, tradotto in tutto il mondo. Insegna ai bambini e ai professori che non bisogna mai perdere contatto con la realtà.

 

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