I giovani riscoprono l’agricoltura
Davvero i giovani hanno riscoperto l’agricoltura come lavoro? C’è chi giura di sì e chi invece è convinto che sia solo un grande battage mediatico che non ha però riscontro […]
Davvero i giovani hanno riscoperto l’agricoltura come lavoro? C’è chi giura di sì e chi invece è convinto che sia solo un grande battage mediatico che non ha però riscontro […]
Davvero i giovani hanno riscoperto l’agricoltura come lavoro? C’è chi giura di sì e chi invece è convinto che sia solo un grande battage mediatico che non ha però riscontro nella realtà. A fare un po’ di chiarezza ci ha pensato il neonato Osservatorio giovani agricoltori di Nomisma-Edagricole che a inizio novembre all’Eima di Bologna – una delle più importanti manifestazioni europee dedicate alla meccanizzazione agricola – ha presentato un’indagine a tal proposito. Stando a quanto riferisce l’Osservatorio, nel nostro Paese, a giugno 2018, vi erano circa 55 mila imprese agricole condotte da giovani con meno di 35 anni, che rappresentano meno del 10% del totale delle aziende, ma in crescita del 14% rispetto a tre anni fa. Altro dato, la metà delle aziende agricole condotte da giovani si concentra in cinque regioni del centro-sud Italia: Sicilia, Puglia, Campania, Calabria e Lazio. «Per quanto ridotte», afferma Denis Pantini, responsabile dell’Area agroalimentare di Nomisma, «in termini di incidenza sul totale delle aziende, le imprese giovanili italiane sono molto più numerose, in termini assoluti, di quelle francesi (38mila circa), spagnole (34mila) e tedesche (20.500) e, soprattutto, molto più rispettose delle quote rosa: in Italia, 3 aziende giovani ogni 10 sono condotte da donne contro un 15% di Francia e Germania e un 19% della Spagna».
Le motivazioni della scelta di lavorare la terra si dividono tra chi ha raccolto il testimone di famiglia, andando quindi a gestire un’azienda già avviata, e chi invece ha individuato nuovi risvolti nell’attività in campagna non esclusivamente produttivi. Tra i settori produttivi che maggiormente vedono la presenza di giovani vi sono quelli avicolo e del latte (con il 10% sul totale delle aziende specializzate in queste produzioni), ai quali seguono l’orticolo (8%), il suinicolo (6%), il frutticolo e il vitivinicolo (5%). Particolare attrazione sui giovani lo giocano l’agricoltura biologica e le attività collegate alla multifunzionalità come l’agriturismo, la trasformazione aziendale dei prodotti e la vendita diretta, le fattorie didattiche, gli agriasili, gli agribirrifici, le agrigelaterie, l’agricoltura sociale (per l’inserimento di disabili, detenuti e tossicodipendenti) tanto per citarne alcune. «Le aziende guidate da giovani», sostiene Ettore Prandini, neo presidente di Coldiretti, «sono fra quelle con la più alta capacità d’innovazione sia nei settori tradizionali che in quelli più di nicchia, dall’allevamento all’agriturismo, esiste infatti una forte spinta all’uso della tecnologia, alla scoperta di nuovi mercati, alla capacità di intercettare le domande di servizi e prodotti che arrivano dai territori. I giovani sono il motore di un dinamismo imprenditoriale di cui beneficia l’intero settore».
L’Osservatorio evidenzia anche che sul fronte economico le performance delle aziende agricole italiane condotte da giovani sono tra le top in Europa. In termini di valore medio della produzione, quelle italiane mostrano un risultato economico di poco meno di 99mila euro contro i 65mila della Spagna e i 56mila della media dell’Unione europea. Risulta invece alto il divario con Francia (poco meno 170mila euro) e Germania (198mila euro). «Questa differenza rispetto ai francesi e ai tedeschi», sostiene Pantini, «è anche conseguenza dell’annosa questione dimensionale che ci vede ancora una volta più piccoli in termini di estensione poderale media: 20 ettari contro i 62 dei tedeschi e i 78 ettari dei giovani agricoltori francesi».
Tante però sono le difficoltà per i giovani che intendono fare dell’agricoltura il proprio lavoro. Prima fra tutte l’accesso alla terra ovvero la possibilità di acquistare o affittare dei campi. In taluni casi insormontabile anche se in questi ultimi anni l’Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) ha cercato di agevolarne la ricerca tramite la Banca delle terre. In Italia – sottolinea la Coldiretti – il prezzo medio della terra arabile è di 40.153 euro all’ettaro con valori che variano 17.571 euro della Sardegna ai 30.830 euro della Puglia, dai 40.570 euro del Lazio ai 42.656 della Toscana, dai 65.759 della Lombardia ai 68.369 del Veneto fino al record ligure 108mila euro all’ettaro.
Il valore nazionale – continua la Coldiretti – risulta essere pari a più di tre volte quello medio della Spagna pari a 12.744 euro, quasi sette volte quello della Francia di 6.060 euro e una volta e mezzo quello della Gran Bretagna di 25.732. Per fortuna vi sono una serie di misure – spiega Coldiretti – previste dalle politiche nazionali e comunitarie, a partire dai Piani di sviluppo regionali (Psr) che prevedono appositi bandi per favorire l’insediamento e gli investimenti dei giovani in agricoltura.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento