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I giovani devono tornare a scuola, gli anziani devono uscire dalle Rsa

I giovani devono tornare a scuola, gli anziani devono uscire dalle RsaLa protesta del liceo Visconti di Roma contro la Dad – Lapresse

Covid-19 Un’intera generazione di anziani è stata falcidiata così come una gran parte dei nostri giovani è stata segnata dal disagio, privata di immaginare il futuro

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 30 marzo 2021

L’elevata mortalità per il Covid-19 tra la popolazione anziana insieme alla bassa natalità hanno determinato nel nostro paese una riduzione significativa dell’aspettativa di vita. Sull’invecchiamento della popolazione come grande questione demografica, sanitaria e sociale, non c’è ancora l’attenzione che il tema meriterebbe. I nostri vecchi, nella cronaca di tutti i giorni, non godono di grande considerazione.

La parola “vecchio”, dal latino vetulus, diminutivo di vetus, significa “usato”, “stremato”. Indica l’uomo (o la donna) che porta sul volto e sul corpo i segni della stanchezza e delle traversie della vita, che ha accumulato esperienze e saggezza, che è circondato dall’affetto e dal rispetto della sua famiglia e della sua comunità. Virgilio ci consegna un’immagine potente del vecchio Anchise sostenuto dal figlio Enea. Oggi la rappresentazione della vecchiaia è del tutto mutata.

Nella società dello spettacolo l’imperativo è “restare giovani”. La vecchiaia una maledizione da rifiutare, negare, nascondere, rimuovere. E’ un argomento tabù, di cui è preferibile non parlare. Un’altra è la scala di valori e di priorità. Si esalta la forma, la dieta, la cura estetica. Giornali, tv e social fanno a gara ad alimentare una falsa contrapposizione tra giovani (penalizzati) e anziani (privilegiati). Sfugge ai più la consapevolezza che in quest’anno orribile una generazione di anziani è stata letteralmente falcidiata ed una generazione di giovani, ragazzi e studenti, segnata dal disagio, impossibilitati ad immaginare il futuro.

Giovani e vecchi sono stati accomunati da un’esperienza di isolamento forzato: gli studenti tra le mura domestiche; i vecchi, i più fragili, chiusi nelle Rsa. E’ andata ancora peggio a chi è privato dell’uso delle moderne tecnologie. Ma mentre per i giovani si avvicina, ci auguriamo presto, il ritorno alla vita normale, per i vecchi non se ne parla proprio.

L’emergenza sanitaria ha squarciato il velo di una società in cui si sono fortemente indeboliti, se non recisi, i residui legami di comunità e di solidarietà intergenerazionale. Si tende a far credere ai giovani che l’ostacolo a un futuro felice e di successo siano le generazioni anziane. Purtroppo non si è alzata alcuna diga in grado di contrastare questa narrazione. C’è i rischio di uno sfaldamento culturale e morale che in Italia trova una sponda politica nella destra nazionalista. Il leader della Lega, in particolare, interpreta una linea di esaltazione di tutti i contrasti e le contraddizioni di una società smarrita e sofferente, divisa tra giovani e anziani, residenti e immigrati, lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, garantiti e non garantiti, ricchi e poveri. La vittoria di questa destra avrebbe effetti devastanti.
Lo Stato e le istituzioni pubbliche, da parte loro, danno un’immagine di inefficienza e di mancanza di unità d’intenti persino di fronte al virus. Alcuni presidenti di regione animano uno show permanente in cerca di visibilità mediatica, e intanto alimentano ritardi e difficoltà nel percorso già difficile della campagna di vaccinazione. In questo contesto è suicida e pericoloso qualsiasi atteggiamento di acquiescenza o di attendismo.

Il problema della sinistra è ritrovare le radici, andate disperse, di un pensiero e di una grande tradizione popolare che all’egoismo e all’individualismo ha sempre anteposto l’aiuto reciproco, la vicinanza e la solidarietà umana e sociale. Attingere a questa tradizione “comunitaria” serve anche ad uscire da alcune gabbie culturali che ci impediscono di immaginare e costruire modi nuovi di affrontare il rapporto tra giovani e anziani.

La sinistra e le organizzazioni confederali, per tornare al tema, non possono limitarsi ad una politica di sostanziale accettazione del “modello Rsa”. Aggiungendo, naturalmente, di volerle riformare. Non passa per la testa dei tanti “riformisti” che le Rsa (e derivati) sono l’ultima evoluzione degli ospizi, rimangono, al netto di qualche verniciatura, i contenitori moderni di un’umanità debole e sofferente, internata in attesa di passare a miglior vita. Ragionare su come rendere accoglienti, più funzionali e sicuri le residenze per anziani significa muoversi nella logica della gestione dell’esistente. Significa garantire continuità a istituzioni in mano a soggetti privati e finanziate dagli enti locali e dalle regioni sulla base di convenzioni a maglie larghe. Garantire, in sintesi, lunga vita a strutture che sfuggono ad un reale controllo pubblico.

Un’alleanza tra giovani e anziani va ricercata intorno all’obiettivo di un nuovo Stato sociale. I giovani devono poter tornare a scuola e guardare al futuro con maggiore fiducia. I vecchi devono poter uscire dalla segregazione nelle Rsa e tornare a casa. Spetta alla sinistra creare le condizioni di una società migliore e inclusiva.

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