I giornali si rifanno il look
Grafica urbana Facciamo un salto nel passato: «Nel mentre ella mi guatava, i suoi occhi cerulei e timorosi, mi carpirono il cuore che dal quel momento arse di giubilo. Qual beltà la […]
Grafica urbana Facciamo un salto nel passato: «Nel mentre ella mi guatava, i suoi occhi cerulei e timorosi, mi carpirono il cuore che dal quel momento arse di giubilo. Qual beltà la […]
Facciamo un salto nel passato: «Nel mentre ella mi guatava, i suoi occhi cerulei e timorosi, mi carpirono il cuore che dal quel momento arse di giubilo. Qual beltà la sorte mi diede in dono!».
E adesso passiamo al presente: «In quel momento mi stava guardando, i suoi timidi occhi azzurri mi hanno fatto innamorare di lei. Che fortuna che ho avuto a trovarne una così bella!» Cosa abbiamo letto? Esattamente la stessa frase scritta in due epoche diverse, i sentimenti non sono cambiati, però il linguaggio sì, si è evoluto. Non è detto che evoluzione sia sinonimo di miglioramento, lo è invece di cambiamento.
Se prendete un giornale di cento anni fa, (figura a sinistra) troverete un linguaggio molto diverso rispetto a come si scrive adesso: le guerre ci sono sempre state, è variato il modo di descriverle.
Quindi la lingua, qualsiasi lingua, nel tempo cambia forma, alcune parole scompaiono, alcune frasi cambiano struttura, appaiono parole per descrivere cose che prima non esistevano.
È tutto in movimento. E qui mi fermo perché, come c’è scritto sopra, questa è una rubrica di grafica, mica il nuovo Zingarelli. Eppure vi sarete chiesti come mai talvolta una delle riviste o quotidiani che acquistate cambia progetto. Ma insomma, che bisogno c’è? Arrivi la mattina in edicola, acquisti il tuo giornale e non lo riconosci più.
Là dove c’erano le lettere adesso ci sono gli editoriali, prima c’erano articoli lunghi, ora è tutto spezzettato, prima c’era una lettura ordinata in orizzontale adesso è in verticale. A che servono tutti questi cambiamenti? Perché un progetto non può rimanere per anni lo stesso? Diciamo la verità, uno si abitua al proprio giornale, sa dove sono le cose che cerca, in che ordine vengono messe in pagina. Il cambiamento diventa come un abito che da un momento all’altro non calza più, bisogna partire da capo e rifarci l’abitudine.
È vero, è una scocciatura, me se del giornale di cento anni fa andaste anche a vedere la forma, il «progetto grafico», vi accorgereste da soli che una roba del genere voi non la leggereste mai. Non ci sono quasi foto, i titoli sono minuscoli, le colonne appiccicate le une alle altre, gli articoli si susseguono uno dopo l’altro senza fine.
Cosa è successo? La cosa più normale che poteva succedere: non solo il linguaggio si è evoluto, anche la grafica è stata costretta a farlo. Le due cose sono tra loro molto più legate di quanto possiate pensare, c’è chi dice che siano la stessa cosa. I fatti quindi stanno così: i giornali non si rifanno il look per diventare più belli di quel che sono, la realtà è che sono costretti a rigenerarsi ogni qualvolta vi sia una spaccatura semantica tra ciò che il giornale vorrebbe dire e ciò che invece mostra al lettore in quel momento.
È un’esigenza, non un vezzo. Benvenuti nel presente (figura a sinistra).
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