Si rispecchia perfino nei suoi giardini l’identità plurale continuamente ricombinata di quel luogo dello spirito che son le terre della Sicilia orientale distese sotto il profilo del vulcano, frutto del succedersi di primordiali irruzioni e colate laviche, colonizzate dalla pervicace dinamica della vita vegetale, ridisegnate in terra produttiva dall’opera dell’uomo. Così, per campi stretti e qualche panorama, s’avanzano dalle pagine del volume fotografico di Cristina Archinto i Giardini all’ombra dell’Etna, sotto il segno comune delle effusioni di quest’habitat aspro e dominante: scenografie basaltiche, oasi tra affioramenti lavici e relativi microclimi; tracce risignificate del passato agrario, tra canalizzazioni delle acque irrigue nelle vecchie saje, muretti a secco, terrazzamenti e pilere, i tradizionali pilastri in pietrame cilindrici del pergolato, ora ricoperti con rose banksia e bignonie; allestimenti e condivisione di specie mediterranee con piante esotiche – vecchi carrubi e olivastri, agavi e jacarande – acclimatate dal collezionismo (Terrimago edition, pp. 108, € 26.00, testi di Alessandra Valentinelli).

Un’unica aria di varietà che, dai terrazzamenti, le pareti laviche e gli affacci del giardino di Giulia Gravina a Valverde sul golfo di Catania, trascorre, tra agavi, maioliche, scille peruviane e la collezione di 42 diverse specie di palme del giardino roccioso a terrazze progettato a fine anni sessanta da Ettore Paternò, con agrumeti e vigneti assortiti a mediterranee ed esotiche esito dello scambio di semi provenienti da tutto il mondo; occhieggia nel giardino a stanze di Rossella Pezzino de Geronimo, come pure a Villa Ortensia, tra le plumerie, il verde smeraldo dell’agrumeto e l’Etna alle spalle, tra le opere artistiche, le 18 varietà siciliane di fico di Villa Trinità Bonajuto e fin nella collezione di piante autoctone proposte nel loro habitat naturale nell’Hortus Siculus catanese.