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I ghiacciai impregnati di pesticidi

Intervista Uno studio realizzato dall’Università Milano-Bicocca ha rivelato la presenza di pesticidi usati in pianura su tutto l’arco alpino. Chlorpyrifos compreso

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 25 luglio 2019

Dalle basse pianure alle alte cime: anche i rari insetti che popolano le gelide acque di scioglimento dei ghiacciai non hanno scampo dai pesticidi che vengono usati a valle; lo studio realizzato da un team di ricercatori dell’Università di Milano Bicocca, e recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Environmental pollution, ha rivelato la presenza nei ghiacciai alpini e nelle acque dei torrenti glaciali di fitofarmaci tra quelli utilizzati nelle attività agricole della pianura padana o nelle aree vallive.

La ricerca ha interessato tutto l’arco alpino dal Monte Rosa fino alla Val Senales al confine con l’Austria ed ha analizzato sia le aree più vicine alla pianura sia quelle più interne, risultato: con le differenze relative all’uso del territorio, vi sono tracce di pesticidi ed erbicidi in tutti i ghiacciai, da un minimo di due fino a sei. Discutiamo dei dettagli della ricerca e delle sue implicazioni con una delle autrici, nonché coordinatrice del progetto, l’ecotossicologa Sara Villa, ricercatrice e docente del Dipartimento di Scienze dell’ambiente e della terra dell’ateneo milanese.

Dottoressa Villa, innanzitutto di quali sostanze stiamo parlando e in che modo dalla Pianura Padana riescono a raggiungere i ghiacciai alpini?

Le sostanze che abbiamo rilevato rappresentano due grandi classi dei fitofarmaci organfosforici: insetticidi utilizzati soprattutto sulla vite e sui meleti nelle aree prossime all’arco alpino, ad esempio il chlorpyrifos, ed erbicidi come terbuthylazine, utilizzati prevalentemente in Pianura Padana per le coltivazioni di mais. I momenti in cui queste sostanze possono intraprendere il viaggio verso l’arco alpino sono due: uno, trascurabile perché si cerca di contenerlo attraverso varie procedure di contenimento del processo della deriva durante il trattamento; l’altro è dovuto a un processo definito di «rivolatilizzazione dei suoli agrari» , ovvero parte delle sostanze irrorate su piante e terreni evaporando vengono prese in carico dalle masse d’aria e trasportate sulle montagne dove ricadono con la neve. Purtroppo non vengono degradate dagli UV solari, forse perché protette dal pulviscolo atmosferico.

I risultati hanno rappresentato una sorpresa?

Noi siamo andati alla ricerca di un determinato set di sostanze, sulla base di un modello previsionale che ci ha indicato i contaminanti che avevano la maggiore probabilità di essere trasportati dall’atmosfera per distanze dell’ordine dei 300-400 kilometri, quelle che appunto intercorrono fra la pianura padana e l’arco alpino. Alcune delle sostanze ricercate non sono state trovate, e questo è un dato positivo; altri contaminanti invece non solo raggiungono l’arco alpino ma vi si accumulano raggiungendo concentrazioni tali da mettere a rischio alcune specie. Da ecotossicologi il nostro fine ultimo è quello di valutare se la normativa europea, che è molto avanzata e restrittiva sulla messa in circolazione di prodotti fitosanitari, sia sufficientemente protettiva nei confronti degli ecosistemi naturali. Individuando il rischio chimico che corrono alcune specie di invertebrati che popolano le acque di scioglimento dei ghiacciai, abbiamo rilevato che esiste un deficit nelle linee guida europee, che prendono in considerazione il trasporto di contaminanti a corto raggio e lungo raggio ma non danno indicazioni su come trattare il problema del trasporto a media distanza.

Lo studio ha preso in considerazione una carota di ghiaccio di 102 metri estratta dal ghiacciaio del Lys, sul Monte Rosa, e le acque di scioglimento di 6 ghiacciai. Quali le differenze?

Innanzitutto abbiamo trovato gli stessi contaminanti sia nel ghiaccio che nell’acqua, e questo è stato importante. Le due tipologie di campionamento avevano scopi differenti: il carotaggio, che ha fornito la storia congelata dell’atmosfera fra 1959 e il 2002, ha permesso di verificare l’ipotesi della provenienza dei contaminanti: confrontando la concentrazione di due comuni pesticidi con i dati di vendita, abbiamo confermato l’origine in Pianura Padana. Le acque di scioglimento invece sono state analizzate per capire quali pericoli corresse la fauna acquatica alpina.

Quali sono quindi le conseguenze per l’ambiente della presenza di queste sostanze?

Alcuni microinvertebrati acquatici sono esposti a delle concentrazioni di contaminanti preoccupanti. Studi precedenti hanno dimostrano che concentrazioni anche più basse di quelle che abbiamo rilevato possono indurre cambiamento nei comportamenti. Per esempio l’insetticida chlorpyrifos modifica la velocità di nuoto delle larve. Questa alterazione del comportamento può influire sulla efficacia della predazione dei loro predatori e via di seguito con effetti lungo la catena alimentare. Gli ecosistemi alpini sono costituiti da poche specie, la variazione di una sola di esse può avere effetti negativi consistenti su un equilibrio totale che ha fa anche più fatica a ripristinarsi.

Quali le soluzioni da intraprendere?

La strada è quella dell’agricoltura sostenibile. Gli ecosistemi alpini sono un patrimonio inestimabile, e che si trovino così vicino a un’area fortemente antropizzata ed altamente produttiva come la pianura padana è una particolarità. Anche la nostra agricoltura di qualità è un patrimonio, dobbiamo trovare il modo di proteggere entrambi. I pesticidi sono indispensabili, non siamo un paese del nord che avendo molti meno problemi con insetti nocivi e parassiti si può permette più di noi di mettere al bando le sostanze. Sono necessarie misure di gestione adeguate. Per esempio investire sulle sostanze assenti o trovate solo sporadicamente, e studiare misure di riduzione del rischio ad hoc, in modo che si riduca il trasporto verso le vette alpine.

E’ la prima volta che vengono trovati pesticidi sulle Alpi? E quali altre prospettive di ricerca è necessario aprire su questo fronte?

Circa due anni fa con lo stesso gruppo abbiamo fatto un primo tentativo, andando alla ricerca di un set di molecole più ristretto e su un quantitativo minore di campioni. Alcune delle molecole rilevate in quell’occasione non sono più state ritrovate, altre sì ed in concentrazioni maggiori. E’ necessario proseguire il monitoraggio anche per valutare l’efficacia delle misure restrittive adottate. Per esempio, in Trentino il chlorpyrifos è stato bandito, quindi bisogna valutare quale effetto avrà sui livelli delle concentrazioni nei ghiacci. Poi c’è il lavoro che spetta agli ecologi di valutazione degli effetti diretti ed indiretti della presenza di queste sostanze sulle comunità viventi, per capire la portata dell’impatto sul delicato ecosistema alpino.

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