Lavoro

I freelance che producono libri: a 40 anni rischiano di cambiare lavoro

Editoria Le inchieste di Slc Cgil, del sindacato Strade e della rete Rerepre sui precari nell'industria della lettura

Pubblicato più di 11 anni faEdizione del 14 maggio 2013

Presentato ieri alla camera del lavoro di Milano alla presenza del segretario generale della Cgil Susanna Camusso, l’inchiesta sull’«editoria invisibile» è uno dei primi esperimenti di autocensimento da parte dei lavoratori dell’editoria a cui hanno collaborato l’Ires Emilia Romagna (per Slc-Cgil), la rete dei Redattori Precari (Rerepre) e il sindacato dei traduttori editoriali Strade.

Sono stati 1.073 i traduttori, i redattori, gli editor e le altre figure del lavoro della conoscenza impiegate in questo settore a rispondere ad un questionario online composto da 54 domande. Il 74% delle persone sono donne, nove su dieci possiedono una laurea e una o più specializzazioni, poco meno della metà (45%) vive a Milano, il 15% a Roma, l’8% a Bologna. Per comprendere un universo del lavoro altamente instabile, con mansioni frammentate e sottopagate, bisogna partire da questo dato: il 92,3% del campione lavora con contratti «non standard», vale a dire con contratti a progetto (23,7%), collaborazioni occasionali (21,9%), cessione di diritto d’autore (20,3%), la partita Iva (il 12,6%). Gli assunti sono un’estrema minoranza, il 7,7%. Questo dato dimostra che nell’impresa postfordista, di matrice immateriale o «creativa», esiste un piccolo nucleo di dipendenti, redattori fissi o manager che coordinano le prestazioni di un indotto di lavoratori volatili e intercambiabili. Bisogna tenere d’occhio questo principio organizzativo perché è grazie ad esso che funziona il «terziario avanzato», gli eventi culturali oppure l’università dove esiste un piccolo nucleo di gatekeeper – i «baroni», i custodi del sapere o di una linea editoriale, scientifica o accademica – e una miriade di prestatori d’opera occasionali che non riescono a vivere del proprio lavoro, sopravvivono lavorando in settori affini, spesso accumulando contratti di natura diversi nello stesso momento. Più della metà dei lavoratori censiti (il 55,7%) dichiara di percepire una retribuzione lorda annuale inferiore ai 15 mila euro, il 14,3% guadagna meno di 5 mila euro. Sono le donne ad essere più penalizzate da redditi spesso inferiori alla soglia di povertà. Giunte all’età «spartiacque» dei 40 anni, molte di queste persone constatano il loro progressivo allontamento dal lavoro editoriale che non garantisce la sopravvivenza. Questa è la realtà di tutto il lavoro indipendente e precario in Italia caratterizzato dall’alto dispendio di energie mentali, dalla richiesta di rispondere ossessivamente alle richieste dei committenti e dall’inesistente potere di negoziazione sulle tariffe. Questa è più di una percezione soggettiva, perché più di tre quarti del campione (76,2%) prevede di cambiare lavoro e di lasciare l’editoria entro tre anni.

Lo chiarisce in termini se è possibile ancora più chiari, l’inchiesta sulle tariffe per le traduzioni in diritto d’autore, curata da Marina Rullo del sindacato Strade per la rete dei traduttori letterari Biblit. L’inchiesta si concentra su 272 traduttori editoriali, per la maggioranza di madrelingua italiana, tra i 30 e i 50 anni d’età. Il 41% lavorano con una tariffa massima che oscilla tra gli 11 e i 15 euro, mentre quella minima si attesta tra i 6 e i 12 euro. Chi lavora con più lingue può spuntare un prezzo migliore, anche quando gli editori hanno iniziato a stringere i cordoni della borsa per la crisi. Il rapporto 2012 dell’Aie sullo stato dell’editoria ha dimostrato una flessione del 4,6% del fatturato (3.309.000 euro) rispetto al 2011. Le opere tradotte sono calate al di sotto del 20%, mentre cresce la vendita dei diritti dei titoli italiani all’estero (+16%).

L’inchiesta Biblit dimostra come queste tariffe non siano equiparabili a quelle delle altre professioni, in un lavoro che non ha alcuna tutela sociale e il ritardo dei pagamenti è la regola. L’aumento di fenomeni di dumping tra i lavoratori da parte degli editori sta provocando un relativo cambio di mentalità tra i traduttori. Da un lato riconoscono la necessità di un tariffario di riferimento con minimi di compenso (73,3%), di un accesso regolamentato alla professione (34,1%), ma anche di «far fronte comune».Un obiettivo che che stenta ancora ad affermarsi anche perchê tra i traduttori non hanno fiducia nel sindacalismo e nell’associazionismo tradizionale.

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