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«I farmaci contro il cancro alla prostata potrebbero rivelarsi utili contro il Covid-19»

«I farmaci contro il cancro alla prostata potrebbero rivelarsi utili contro il Covid-19»

L’ipotesi dell’oncologo Andrea Alimonti Tra Padova e Bellinzona una ricerca esplora strade alternative per combattere la pandemia. Per ora è un’ipotesi, che a giorni potrebbe ricevere una conferma dai dati epidemiologici

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 15 aprile 2020

Il gruppo guidato dal romano Andrea Alimonti all’Istitute of Oncology Research di Bellinzona, in Svizzera, di solito non si occupa di malattie infettive come il Covid-19. Alimonti, nato a Roma 45 ani fa, è più noto per le ricerche sul cancro alla prostata. Ma è proprio l’esperienza sui tumori che lo ha portato a formulare un’ipotesi promettente per la lotta al Covid-19. «Qualche settimana fa abbiamo letto che una delle proteine utilizzate dal coronavirus per infettare le cellule è l’enzima Tmprss2», racconta Alimonti. «È una sigla che conosciamo bene, perché da un quindicennio circa lo stesso enzima è studiato come marcatore tipico del tumore alla prostata. E gli inibitori di questo enzima sono utilizzati per bloccare il tumore».

L’esperienza nella ricerca di una cura per il tumore alla prostata accumulata nella carriera tra New York, Boston, Bellinzona e l’università di Padova, dove è attualmente professore ordinario, potrebbe rivelarsi utile per un trattamento contro il Covid-19. «Dato che la proteina Tmprss2 è controllata dall’ormone testosterone, oggi il tumore alla prostata viene affrontato da un lato abbassando i livelli di testosterone nel sangue e dall’altro bloccando l’attività dell’enzima Tmprss2 nelle cellule con farmaci chiamati ‘inibitori’», spiega Alimonti. «Dato che questa terapia è in grado di bloccare lo sviluppo del tumore alla prostata, potrebbe rivelarsi efficace anche contro l’infezione da Sars-Cov-2».

Per applicare la strategia anti-tumorale anche nella lotta al virus, i ricercatori dello Ior hanno unito le forze con quelli dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina, sempre a Bellinzona. Sarebbe un’ottima notizia, anche perché gli inibitori dell’enzima Tmprss2 sono diversi, racconta ancora Alimonti: «C’è il camostat, un farmaco attualmente disponibile solo in Giappone. Ma in Italia abbiamo la bromexina, un farmaco molto comune utilizzato contro la tosse. Costa pochi euro in farmacia ed è largamente disponibile».

Per ora è un’ipotesi. Alimonti non è l’unico a crederci: anche all’ospedale di Whenzhou, in Cina, si sta pensando a una sperimentazione-pilota sulla bromexina per i malati di Covid. Ma prima di avviare una vera sperimentazione clinica in Europa serviranno altre conferme. «Prima di tutto bisogna capire se l’inibitore usato per la prostata è in grado di bloccare l’enzima Tmprss2 anche nelle cellule del polmone, che sono quelle attaccate dal coronavirus», dice Alimonti. «Non abbiamo ancora conferme dirette che ciò avvenga nell’uomo, perché sono necessarie ricerche complesse che richiederanno più tempo. Gli esperimenti sui topi, tuttavia, confermano questa ipotesi».

Un ulteriore dato conferma il ruolo importante dell’enzima Tmprss2 nel Covid-19. Dato che il testosterone (un ormone maschile) ne stimola l’attività, l’enzima è più abbondante negli uomini che nelle donne. Questo potrebbe spiegare come mai il tasso di letalità tra gli uomini è doppio rispetto a quello che si misura tra le donne.

C’è un modo più diretto, però, per capire se i ricercatori sono sulla strada giusta. «Se davvero l’inibitore dell’enzima blocca il coronavirus, dovremmo verificarlo studiando le persone che si sono ammalate: chi è in cura per il tumore alla prostata dovrebbe risultare più protetto dal coronavirus». Perciò, l’equipe di Alimonti sta verificando, in una collaborazione tra la regione Veneto e l’università di Padova, la percentuale di malati di tumore alla prostata tra i malati di Covid.

Alimonti non anticipa niente, perché i risultati definitivi sono attesi a giorni e il ricercatore spera di pubblicare presto dati incoraggianti. Ma è evidente che c’è molta fiducia. «Abbiamo avuto indizi promettenti dai colleghi di Wuhan, con cui siamo in contatto. Ci dicono di non aver visto tra i malati di Covid-19 persone con il cancro alla prostata. Eppure, i malati di tumore, essendo immunosoppressi, si dovrebbero ammalare più facilmente. Ma è un dato che va verificato su base statistica e i dati del Veneto potrebbe fornire informazioni molto più solide».

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