Paul Cézanne «dimostrava nei miei confronti una tale benevolenza che un giorno osai domandargli di farmi il ritratto. Acconsentì, e disse che mi aspettava il giorno dopo nel suo studio». L’indomani Ambroise Vollard si reca puntuale in via Hégésippe-Moreau, a Parigi. È l’autunno del 1899. Vollard nel dicembre del 1895, intraprendente venticinquenne ai primi passi nel mondo dell’arte, aveva allestito nella sua galleria parigina appena aperta la mostra personale d’esordio del pittore di Aix. La leggenda, che già allora circondava il nome di Cézanne, trovò in quella esposizione una importante conferma.

A Parigi, prima di allora, alcuni pochi dipinti ed acquarelli di Cézanne si potevano talvolta vedere appesi nella bottega di colori del père Tanguy, amico degli artisti. Vollard organizzerà, vivo Cézanne (che muore nel 1906), due mostre ancora, nell’aprile-maggio del 1898 e nel dicembre del 1899. Sono le tre sole mostre che Cézanne decise di mettere su e tutte volle affidare al giovane Vollard. Il gallerista, nel suo Paul Cézanne pubblicato nel 1914 (una seconda edizione rivista ed aumentata, se ne avrà nel 1924), racconta dunque che, alle otto di quel mattino d’ottobre, giunto come d’accordo nell’atelier per la prima seduta di posa, non senza una qualche apprensione vide «in mezzo allo studio una sedia disposta su una cassa sollevata a sua volta per mezzo di quattro esili cavalletti». Cézanne intuisce la preoccupazione di Vollard, ma lo rassicura prontamente: «la sedia per la posa l’ho preparata io con le mie mani! Oh! Lei non corre nessun pericolo di cadere, signor Vollard, basta che conservi l’equilibrio». E seccamente aggiunge: «d’altra parte, quando uno posa, non deve mica muoversi!».

Una tela di un metro per ottanta centimetri dall’immacolato appretto è già predisposta. Ma è assai probabile che quel giorno d’inizio non fu toccata e che, forse, Cézanne vergò invece uno degli schizzi preparatori a matita che di quel ritratto ci restano. O, piuttosto, il pittore si limitò ad osservare in silenzio, concentrato e pensoso, il suo modello. Pure qualcosa accadde durante quella seduta inaugurale. Seguiamo dunque Vollard nel suo racconto: «Una volta seduto, e con quali precauzioni!, restai immobile; ma quella stessa immobilità finì per conciliarmi una specie di sonnolenza contro la quale, per un certo tempo, lottai vittoriosamente; alla fine, tuttavia, la testa mi cadde su una spalla, mentre perdevo ogni nozione del mondo esterno; d’un tratto l’equilibrio non ci fu più e la sedia, la cassa e la mia stessa persona, tutto precipitò. Cézanne si slanciò su di me: ‘Disgraziato! Lei rovina la posa! Le ripeto, bisogna che stia fermo come una mela! Si muove, una mela?’».

Fu così che Vollard imparò a farsi immobile mela («Lei incomincia a saper posare»), e a restare ore senza proferir parola («trattava il modello come una semplice natura morta»), mentre Cézanne, ci dice, «iniziando la posa, col pennello in mano, mi dava uno sguardo con gli occhi fissi, un po’ duri». Le sedute si susseguirono una dopo l’altra, invariabilmente, di mattina tra le otto e le undici e mezzo, fino alla centoquindicesima, quando Cézanne decise di sospendere il lavoro dichiarando a Vollard: «non sono del tutto scontento dello sparato della camicia» e comunicandogli l’intenzione di «riprendere» a tempo debito quella tela. Vollard scrive: «Nel mio ritratto ci sono, sulla mano, due piccole zone dove la tela è scoperta. Lo feci notare a Cézanne».

E questa fu la risposta: «forse troverò il tono giusto per coprire quei bianchi. Capisce, se ci mettessi qualche cosa a casaccio, sarei costretto a riprendere tutto il quadro partendo da quel punto là». Quei due piccoli puntini bianchi risultavano, infatti, ben visibili all’occhio di un attento osservatore. Ora, interrompendo le pose, si trattava, ammetteva Cézanne, di imparare l’adeguata maniera per raccordare quelle due minime smagliature candide della mano e intervenire, di conseguenza, ad armonizzare certe parti: «da oggi ad allora avrò fatto qualche progresso», si augurava. Andò diversamente. I deux petits points blancs sono restati. E per Cézanne restò incompiuto anche il ritratto di Vollard: «quel che mi manca, vedete, è la forza di realizzare», diceva.