Le aziende Pfizer e BioNtech hanno annunciato di aver presentato la richiesta di «autorizzazione per l’uso di emergenza» per il loro vaccino anti-Covid presso la Food and Drug Administration (Fda) statunitense. Le aziende hanno infatti concluso la somministrazione del vaccino su circa 43 mila volontari. Dei 170 casi di contagio registrati, solo 8 sono avvenuti tra i volontari che hanno ricevuto il vaccino mentre gli altri 162 hanno riguardato il gruppo di controllo che ha ricevuto un placebo. Dieci volontari hanno sviluppato sintomi “seri”, nove dei quali nel gruppo di controllo e solo uno tra i vaccinati. Sulla base di questi numeri, le aziende dichiarano un’efficacia pari al 95% pure nelle fasce più a rischio, visto che oltre il 40% dei partecipanti ha tra i 56 e gli 85 anni.
Con dati del genere è prevedibile che il vaccino Pfizer/BioNTech sia rapidamente autorizzato. I ricercatori però monitoreranno i volontari per altri due anni. L’obiettivo è determinare la durata dell’immunità e la sicurezza a lungo termine del vaccino. Finora, infatti, l’effetto del vaccino è stato valutato appena 7 giorni dopo la seconda dose. Le stesse aziende ammettono che «con il proseguimento degli studi, l’efficacia finale del vaccino potrebbe variare».
Difficile dargli torto, anche perché l’autorizzazione di emergenza è una procedura ad alto tasso di errore. Essa permette l’uso di un farmaco «potenzialmente efficace» contro minacce bioterroristiche o malattie infettive emergenti in assenza di alternative e richiede prove scientifiche meno stringenti rispetto all’autorizzazione vera e propria. Se i requisiti vengono meno, l’autorizzazione può essere revocata: durante l’emergenza Covid-19 è successo all’idrossiclorochina dopo che studi clinici più ampi ne hanno smentito l’efficacia.