Visioni

I dubbi di Bennato e le schizofrenie di un’Italia immobile

I dubbi di Bennato e le schizofrenie di un’Italia immobileEdoardo Bennato – foto di Daniele Barraco

Musica «Non c’è» segna il ritorno del cantautore napoletano, rivisitazioni dal repertorio e otto nuove canzoni. «Il mistero della pubblica istruzione è un virus dettato dalla mancanza di lucidità»

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 20 novembre 2020

Copertina apribile in bianco e nero, il tocco di colore è rappresentato dall’immagine dell’autore, Edoardo Bennato che ha progettato questo suo ritorno discografico in casa Sony come una sorta di quotidiano, dove gli strilli sono i titoli delle canzoni e l’intento più o meno palese è quello di mostrarci una sorta di «manifesto della realtà». Non c’è – che esce oggi, è un concentrato del Bennato pensiero diluito in ben venti tracce che attingono dal suo passato più o meno recente e vi aggiungono otto composizioni nuove di zecca, che non stridono affatto con i classici. Anzi, quasi si potrebbe arrivare al paradosso di sottolineare il senso di immobilità che caratterizza l’Italia degli ultimi quarant’anni: «Ma parlerei anche di tempi più recenti – spiega l’artista napoletano, scrivevo in Italiani (2012) ’dicono di noi improvvisatori, mafiosi, scalmanati navigatori terroni o padani’. Le schizofrenie dell’Italia che in questo momento è più che mai divisa tra Treviso e Trapani, Reggio Emilia e Reggio Calabria, dove il divario si accentua. Il metodo con cui ho attinto dal mio repertorio e inserito pezzi nuovi è quello di un disco che avesse un’omogeneità. ».

E SOTTOLINEA ancora: «È chiaro che in questi mesi di pandemia il divario aumenti. Ciò che abbiamo vissuto in questi ultimi tempi è stato sicuramente qualcosa fuori dall’ordinario, che ci ha fatto riflettere e ha indubbiamente condizionato le nostre esistenze. Tornare dopo cinque anni con un album di soli brani inediti sarebbe stato sin troppo ovvio. Ho colto invece l’invito a riprendere alcune canzoni del passato. E ci siamo resi conto come e quanto le cose nuove fossero in linea con quelle rivisitate».

FUORI dal coro Bennato lo è sempre stato, Non farti cadere le braccia – l’album di debutto nel 1974 – inizialmente non è compreso dal pubblico mentre la Rai trova la sua voce «sgraziata», così la Ricordi lo mette alla porta. Ma non si perde d’animo: «Mi giocai l’ultima carta, scesi in strada come il ragazzino di Non c’è (nel video della canzone in rotazione in questi giorni, ndr) e feci dei pezzi punk. Punk era all’epoca quasi un atteggiamento filosofico: cantavo in modo concitato nei confronti di una società che si dichiarava equilibrata mentre invece era decisamente schizofrenica. Mi incontrarono due giornalisti che mi presentarono al direttore di Ciao 2001 (la rivista musicale più di tendenza dell’epoca, ndr) che mi iscrisse a festival alternativi dove si esibivano Lolli, Battiato. Il paradosso fu che la lobby acculturata e politicizzata mi conferì la patente che mi era stata negata dal mondo della musica. Feci quell’estate tutti i festival di avanguardia operaia, Lotta continua e fui eletto rappresentante dell’insoddisfazione giovanile italiana. Ma chi decide cosa è bello? Nell’arte tutto è opinabile, non sta a noi deciderlo e neanche al pubblico: il 90% è indottrinato da media e radio».

IN UN DISCO dalla lunga gestazione con molti musicisti e ospiti- il fratello Eugenio, Clementino, appare anche Morgan nel rock’n’roll Perché: «Uno dei mie amici più fedeli con tutte le sue schizofrenie. Ma dice cose giuste…». L’osservazione sul malessere della scuola è affidata a Il mistero della pubblica istruzione: «È una feroce ironia su quella parte della nostra comunità che ha un ruolo nella vita politica e culturale della società. L’infezione di cui parlo nel brano non c’è nelle aule e nelle facoltà di ingegneria, architettura, fisica, chimica. Perché in quel caso il parametro è acquisito e inconfutabile. Faccio un esempio: un ingegnere italiano e un ingegnere coreano usano gli stessi parametri, ragionano e costruiscono in base a questo parametro. Io penso a costo di essere messo al rogo che c’è invece un’infezione in tutte le facoltà umanistiche: la mancanza di lucidità. Non si assumono i parametri giusti e quindi sono preda dei luoghi comuni, delle lotte violente tra le fazioni in campo. Chi ci risolve il mistero della pubblica istruzione? Questa ragazzotta di belle speranze? Per certi versi potrebbe essere anche utile il solo entusiasmo giovanile, ma per essere ministro della pubblica istruzione in italia ci vuole un’esperienza. Non basta l’entusiasmo».

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