«Ripristinare entro il 2030 almeno il 30% dei terreni degradati di terra e d’acqua»: è uno degli obiettivi del nuovo Accordo globale sulla biodiversità approvato da 196 paesi il 19 dicembre a Montreal. Ed è in corso il Decennio per il ripristino degli ecosistemi 2021-2030, deciso dall’Assemblea generale delle Nazioni unite. Ma come si risanano un territorio o una porzione di mare degradati e impoveriti, migliorando anche le condizioni di vita delle popolazioni umane? Ecco dieci progetti pionieristici che l’Onu ha scelto fra molti altri. Mega-opere, senza cemento, destinate a ridare natura e salute a 68 milioni di ettari. In 18 paesi. Entro il 2030.

EPICA È LA «GRANDE muraglia verde», lanciata nel 2007 dall’Unione africana per frenare l’avanzata del deserto e migliorare la vita di milioni di abitanti nella fascia che comprende undici paesi, dal Senegal a Gibuti. I ciclopici obiettivi per il 2030 prevedono il ripristino e il rimboschimento, con specie autoctone e resistenti, di 100 milioni di ettari, il sequestro di 250 milioni di tonnellate di carbonio e la creazione di lavoro per milioni di persone. Ma tutto è rallentato dalla scarsità di fondi e da problemi nell’articolazione, ad esempio, fra rimboschimento e attività pastorali nomadi. Un progetto, comunque, degno della massima attenzione.

IL PATTO FORESTALE ATLANTICO non ha nulla a che vedere con la nostra bellicosa Nato. E’ un accordo fra Brasile, Paraguay e Argentina per ripristinare la foresta pluviale costiera – Mata Atlântica per i brasiliani, Selva misionera per gli argentini. Semi-distrutta da secoli di disboscamento ed espansione agricola e urbana. Il Patto ha già ripristinato circa 700.000 ettari. Fra le iniziative, realizzate da centinaia di gruppi, i corridoi per la fauna minacciata e l’approvvigionamento idrico a beneficio di persone e natura.

PER IL DUGONGO, pacifico mammifero erbivoro d’acqua, specie vulnerabile, sarà utile il ripristino marino delle praterie di fanerogame, delle mangrovie e della barriera corallina lunga la costa del Golfo persico. Salvare la seconda popolazione di dugonghi al mondo è uno degli obiettivi della campagna degli Emirati arabi uniti, che migliorerà le condizioni di molte altre piante e animali, tra cui quattro specie di tartarughe e tre specie di delfini. In quello che è già uno dei mari più caldi del mondo, sono stati ripristinati circa 7.500 ettari di aree costiere. Invece in Cina il dugongo è dichiarato funzionalmente estinto (pesca, collisioni con le imbarcazioni e distruzione dell’habitat) e in Giappone è un simbolo per i pacifisti che da decenni si oppongono alla base marina Usa a Okinawa.

LA SALUTE DEL GANGE, fiume sacro dell’India, è al centro dal 2014 dell’iniziativa pubblica Namami Gange per ridurre l’inquinamento, ripristinare la copertura forestale, rendere più ecologica l’agricoltura e arrecare benefici ai 520 milioni di persone che vivono intorno al bacino, degradato da cambiamenti climatici, crescita demografica, industrializzazione e mega-opere di irrigazione. Finora sono stati ripristinati 370 km di fiume e riforestati 30.000 ettari. L’obiettivo è anche tutelare le specie selvatiche più importanti.

SERBE, KIRGHISE, UGANDESI, ruandesi, le regioni di montagna sono accomunate da faticose sfide, in primis il cambiamento climatico. L’iniziativa vuole rendere gli ecosistemi montani più resistenti, in modo che possano sostenere la loro fauna unica e fornire benefici vitali alle persone. In Uganda e Ruanda si trova una delle due popolazioni rimaste di gorilla di montagna, specie arrivata sull’orlo dell’estinzione; grazie alla protezione dell’habitat, il loro numero è in ripresa. In Kirghizstan, invece, i pastori gestiscono le praterie in modo più sostenibile. In Serbia si sta ampliando la copertura arborea.

PALADINA DEL CLIMA, l’isola di Vanuatu è parte di una iniziativa in tre piccoli Stati insulari (insieme a Santa Lucia e Comore) per il recupero di ecosistemi unici, dagli altopiani alle barriere coralline, dalle mangrovie alle foreste. Altro obiettivo del progetto: amplificare le voci delle nazioni insulari minacciate dall’innalzamento del livello del mare.

IN KAZAKISTAN, L’ANTILOPE SAIGA e gli uccelli migratori beneficiano del progetto di conservazione Altyn Dala che dal 2005 ripristina gli ecosistemi steppici, in declino per l’eccessivo sfruttamento dei pascoli, il cambio di destinazione d’uso dei terreni e la crisi climatica. L’antilope è stata gravemente minacciata dalla caccia e dalla perdita di habitat ma ha recuperato, arrivando 1,3 milioni di individui nel 2022. L’iniziativa contribuisce a conservare le zone umide, scalo vitale per circa 10 milioni di uccelli migratori, fra i quali la pavoncella socievole.

VITA DURA NEL CORRIDOIO SECCO centramericano, un ecosistema esposto ad alee climatiche sempre più imprevedibili. In Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua e Panama, il progetto, che vuole arrivare a 100 mila ettari nel 2030, contempla il recupero di tecniche agricole tradizionali e di sistemi agroforestali che integrano la copertura arborea con colture come il caffè, il cacao e il cardamomo, preservando al contempo gran parte della biodiversità originale della foresta pluviale.

STRUTTURE VERDI a favore delle mangrovie sono la peculiarità del progetto di ripristino in Indonesia. Demak, una comunità costiera sull’isola di Giava, subisce inondazioni e fenomeni erosivi accresciuti dalla rimozione delle mangrovie, via via sostituite dall’acquacoltura. La costruzione di strutture simili a barriere con materiali naturali lungo la costa sta creando le condizioni per il recupero naturale delle mangrovie, habitat per numerosi organismi marini.

NELLA POPOLOSA CINA, fabbrica del mondo, l’iniziativa Shan-Shui lanciata nel 2016 combina 75 progetti di ripristino inseriti nei piani nazionali di gestione del territorio. Sono comprese aree agricole, urbane e naturali. Peculiare il progetto Oujiang River Headwaters che integra avanzate conoscenze scientifiche con saperi agricoli tradizionali.