Dal milione di posti di lavoro del 1994 al milione di alberi. Gli anni passano, Silvio invecchia ma non si può dire che abbia perso il talento naturale per gli slogan a effetto e le promesse elettorali che colgono nel segno. Meno tasse, e quello è un sempreverde. Mille euro di pensione minima con 13 mensilità, per tutti e anche per le mamme, un altro leit motiv antico. Più le piante, per far contenti i ragazzi di Greta. Il Cavaliere spara le sue proposte in una intervista televisiva eterna al Tg5, peraltro la rete è sua e non si può pretendere il cronometro. Il responsabile economico di Fratelli d’Italia trasecola e fatica a nasconderlo: «Sì certo…Vediamo poi se ci saranno i soldi».

NON CONOSCONO il Cavaliere o non lo hanno capito. Che le promesse siano realizzabili o meno in campagna elettorale conta poco e lui, che delle campagne elettorali è l’indiscusso mago, lo sa perfettamente, fargli le pulci è ingenuo. Sarà la sua ultima campagna: vuole che sia memorabile. Ha un obiettivo preciso: rientrare a furor di voti, da trionfatore, in quel Senato che lo umiliò mettendolo alla porta. Userà quel che resta della sua arte per riuscirci. Però sarebbe superficiale pensare che la destra si limiti alla coreografia e alla sparate fragorose tipiche di Silvio Berlusconi. A differenza di un Pd tramortito, dei centristi in perenne confusione, dei 5 Stelle persi nel bosco, la destra si muove per tempo.

IERI BERLUSCONI e Meloni si sono incontrati e dati un nuovo appuntamento per la settimana prossima, quasi certamente mercoledì alla Camera, stavolta anche con Salvini e i leader minori. Hanno da risolvere due nodi spinosi, quello della premiership e quello, anche più urgente, della composizione delle liste per la quota maggioritaria. In realtà in entrambi i casi il nodo è lo stesso: confermare o modificare il modello adottato nel 2018. Allora si era stabilito che a indicare il premier fosse il partito con più voti e che il peso di ciascun partito nella lista unitaria fosse calibrato sui sondaggi. Per sorella Giorgia è un metodo adattissimo anche per il presente, per Berlusconi invece molto meglio scegliere il premier a urne chiuse, affidando la decisione a un’assemblea degli eletti proprio come propose invano Giorgia Meloni nel ’18. Ma Salvini taglia corto e si schiera con Fdi: «Decide il premier chi ha un voto in più». Quanto alla lista, Berlusconi chiede quote paritarie, col 33% di candidati a testa. Sono scogli reali ma sperare che la destra sprechi una vittoria quasi certa per accapigliarsi sui posti sarebbe per i rivali l’ultimo sbaglio.

COME È UNO SBAGLIO muoversi con la lentezza che caratterizza oggi il Pd. Certo c’è l’«agenda Draghi» sbandierata dal Pd come da tutti i centristi e anche, sul fronte del centrodestra, dal governatore ligure Toti. Ma è un espediente: l’elenco messo a punto dal premier per affrontare una situazione urgente alla guida di un governo di unità nazionale non può essere il programma di governo di una parte politica per l’intera legislatura, Cavarsela aggiungendo i diritti civili come unico elemento ulteriore e caratterizzante è una furbizia ma di quelle col fiato corto.

PUNTARE TUTTO sull’«agenda», inoltre, presenta alcuni problemi proprio sulla strada delle alleanze, quella dove il Pd, dopo che una strategia costruita nell’arco di tre anni è franata nel giro di tre ore, si muove oggi al buio pesto. Letta ha infine detto parole chiare sull’alleanza con il M5S, definita «impossibile» e nella quale invece Conte ancora spera, perché la speranza è sempre l’ultima a morire. A Calenda, nella cui Azione si è arruolato ieri l’ex azzurro Cangini ma si attendono anche le ministre Gelmini e Carfagna, non basta: «Noi ad ammucchiate non ci stiamo. Agenda Draghi e agenda Landini/Verdi insieme sono una presa in giro per gli elettori. Il Pd, più che sbandierare Draghi come un santino, deve dire cosa vuole fare». Poi c’è il problema Renzi, che per il Pd è sempre enorme, la difficoltà di tenere insieme Di Maio e forze come Azione ma anche Italia viva.

NEL CAOS IL PD non esclude neppure l’ipotesi di aprire le sue liste a tutti, da Di Maio a Speranza e chi ci sta ci sta, per poi coalizzarsi ma chissà con chi, essendo Azione indisponibile ad allearsi con il Cocomero di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. Ma per ora quella della lista è solo una suggestione, la cui stessa possibilità tecnica è incerta. La realtà è che il Pd ancora deve posizionarsi ai posti di partenza e di tempo ne ha davanti davvero poco.