I cuochi al governo: salviamo le produzioni locali
Questa mattina ho spaccato legna, poi mi sono occupato delle mie api. C’è un sacco da fare qui, non ci si annoia. Sono anche arrivate le ultime due pecore. Tutte […]
Questa mattina ho spaccato legna, poi mi sono occupato delle mie api. C’è un sacco da fare qui, non ci si annoia. Sono anche arrivate le ultime due pecore. Tutte […]
Questa mattina ho spaccato legna, poi mi sono occupato delle mie api. C’è un sacco da fare qui, non ci si annoia. Sono anche arrivate le ultime due pecore. Tutte femmine, come le galline, che sono padovane, quelle con il ciuffo. Io allevo solo animali femmine, non voglio ad un certo punto arrivare a dover sopprimere i miei animali». Paolo Betti gestisce il rifugio Maranza, in Trentino. Un punto di partenza ideale per le camminate verso le Cime Marzola, uno dei punti più panoramici della regione, tra le valli dell’Adige e la Valsugana. La sua è un’osteria a tutti gli effetti, dove si pratica una cucina che i francesi chiamerebbero engagée, impegnata. Prodotti locali, pochi piatti a base di carne, perché «ne mangiamo troppa, non ha senso, bisogna ridurre». Paolo ha idee molto chiare sul ruolo che deve avere oggi un cuoco. «Adesso tutti parlano di territorio e per uscire da questa crisi ci si aggrappa a questo refrain ma quanti hanno praticato davvero una cucina fondata sull’agricoltura locale, e non solo a parole? Questo deve fare un cuoco, lavorare con quanto offre il suo territorio, per sostenerlo».
Paolo e gli altri 15 cuochi dell’Alleanza Slow Food dei cuochi trentina sono parte di una rete che conta in Italia 540 locali e oltre 1100 in 25 Paesi. Un progetto creato per sostenere i produttori dei Presìdi Slow Food che nel tempo è cresciuto, si è arricchito di contenuti, di riflessioni e di esperienze di scambio e collaborazione tra cuochi di ogni paese.
L’Alleanza ha messo in pratica un principio cardine del movimento Slow Food: non c’è gastronomia senza la consapevolezza del contesto ambientale, senza l’impegno a conservare la biodiversità del proprio territorio, insieme alla cultura, alle tradizioni e ai saper fare contadini che le sostengono. Se mangiare è un atto agricolo, scegliere cosa cucinare, anche per un cuoco, è un atto politico, una scelta che ha conseguenze forti sulla realtà che lo circonda. Acquistare prodotti locali, coltivati e prodotti con rispetto per la terra e gli animali, pagando un giusto prezzo ai produttori, è un gesto rivoluzionario che scombina i meccanismi del sistema alimentare globale. Scegliere di acquistare da un salumiere locale, da un casaro che produce a latte crudo, fare la spesa negli orti dei contadini della propria comunità e acquistare le farine ottenute da grani di varietà autoctone vuol dire sostenere la propria comunità, contribuire alla gestione ambientale del territorio e in alcuni casi alla stessa sopravvivenza di piccoli borghi di montagna.
Oggi puntare sui prodotti del territorio è la ricetta invocata da chef e critici gastronomici per uscire da una crisi profonda, che emergerà in tutta la sua ampiezza solo quando si riapriranno i locali e si potranno contare quanti mancano all’appello. I prodotti del territorio garantiscono qualità, esperienze autentiche di scoperta di territori e culture. Ma lavorare con i prodotti del territorio vuol dire stabilire relazioni dirette e continuative con gli agricoltori, gli allevatori, i piccoli artigiani locali. Significa ordinare prodotti uno ad uno invece di scorrere un catalogo, e spesso andare direttamente in azienda a ritirare la spesa, affrontare incertezze costanti. Vuol dire anche saper improvvisare, cambiare menù perché all’ultimo momento manca un ingrediente, e sapere che i propri ordini sono fondamentali per piccole economie fragili.
I cuochi dell’Alleanza hanno lanciato un appello al governo. Hanno chiesto insieme a Slow Food, e a migliaia di piccoli fornitori che hanno visto il loro fatturato scendere anche del 50% nelle scorse settimane, di fare un investimento sul futuro di un settore cruciale per la nostra economia: agevolare con un credito di imposta chi lavora non solo per sé ma anche per il territorio in cui vive. Aiutare i cuochi aumenterebbe la domanda di prodotti locali e quindi moltiplicherebbe l’effetto della misura.
Il loro appello – che si può firmare sul sito www.slowfood.it – riguarda tutti perché propone un’idea di futuro fondata sulle mille piccole economie e differenti ecosistemi del nostro paese, sulla capacità di essere locali ma allo stesso tempo globali e solidali. Sul rispetto della terra e sulla bellezza, scoperta grazie a un turismo attento e consapevole.
L’appello sta raccogliendo migliaia di sottoscrizioni. Dal gourmet al funzionario regionale, dalla pensionata che vuole sostenere la sua osteria preferita al coltivatore biodinamico, ma soprattutto di centinaia di loro colleghi. Nella speranza che nel futuro di molti ristoranti italiani ci sia qualche salmone in meno, ma tanto sapore in più. Ripartiamo dalla terra.
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