Cultura

I crimini non metabolizzati e la storia sanguinosa della Rsi

I crimini non metabolizzati e la storia sanguinosa della RsiMilano, dicembre 1944. Sfilano i militi della X Mas / foto tratta dal volume «Rsi», di Mimmo Franzinelli (Mondadori)

INTERVISTA Parla Amedeo Osti Guerrazzi su «L’ultima guerra del fascismo» (Carocci). Domani a Roma la presentazione del volume

Pubblicato 3 giorni faEdizione del 23 ottobre 2024

È da poco in libreria L’ultima guerra del fascismo. Storia della Repubblica sociale italiana di Amedeo Osti Guerrazzi (Carocci, pp. 276, euro 22). Lo storico dell’Università di Padova, già autore di numerose pubblicazioni sul fascismo e la sua violenza, torna sulle vicende del 1943-1945 offrendo una prospettiva aggiornata sulla guerra civile che tiene in considerazione nuovi apporti documentari dall’Archivio centrale dello Stato e dall’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito. Si tratta di un libro aggiornato, anche dal punto di vista degli studi, particolarmente utile in un Paese – si legge nell’introduzione – in cui «il fascismo e i suoi crimini non sono stati assolutamente metabolizzati» e la Rsi viene ancora considerata, anche da chi ha responsabilità istituzionali, come «l’espressione di un esasperato “amor di patria”».

Perché questa ricerca è molto di più di una storia della Rsi?
Ho scelto di concentrarmi sulla guerra, perché la Rsi è nata con lo scopo di combattere. Prima la guerra contro gli Alleati e poco dopo una sanguinosa guerra civile. Ecco allora che quando si analizza il conflitto è necessario considerare tutti gli attori in campo per incrociare le diverse prospettive e non basta adottare il punto di vista di una sola componente come, a volte, si tende erroneamente a fare.

E perché l’ultima guerra del fascismo?
Perché, come dicevo, la Rsi ha fatto pochissima politica: si è concentrata su quanto richiesto da Mussolini, dopo la sua liberazione dal Gran Sasso, nel radio-discorso del 18 settembre 1943 e cioè «riprendere le armi a fianco della Germania». Per poi aggiungere che solo il sangue avrebbe potuto cancellare il tradimento dell’8 settembre e prima del 25 luglio.

A tal proposito, che tratti ha avuto questa guerra?
Principalmente quelle di una guerra civile con caratteristiche completamente diverse da una guerra tradizionale. Una guerra che dall’estate 1944 i fascisti hanno combattuto in nome di una diversa concezione del fascismo stesso. Non più una guerra per l’Italia, ma per difendere la civiltà europea contro il nemico slavo, giudaico, bolscevico e contro il «capitalismo senza anima» degli anglo-americani. Per questo motivo, a mio giudizio, è corretto utilizzare la categoria di nazifascismo.

Diverse pagine sono spese nell’investigare la natura della violenza fascista. In modo particolare, sulla scia della storiografia sulle stragi, lei impiega la categoria di «guerra ai civili». In che senso la utilizza?
La domanda era già stata posta da Pavone relativamente al «di più di violenza» caratteristico della violenza fascista. Questa, infatti, aveva sia motivazioni di carattere militare, per contrastare il movimento partigiano, privandolo del sostegno popolare, sia prettamente ideologico: per riaffermare la propria forza, ma anche, e forse soprattutto, per vendicarsi nei confronti della stessa popolazione italiana. Una violenza che si è scatenata anche quando apparentemente non c’erano motivazioni evidenti. Penso, per esempio, alle stragi compiute durante le operazioni in Piemonte nel luglio 1944 o alla violenza estrema esercitata al confine con la Jugoslavia.

E perché proprio dall’estate 1944?
È uno spartiacque. Gli italiani hanno festeggiato la liberazione di Roma e della Toscana e dalla primavera del 1944 la Resistenza si è fatta sempre più forte. I fascisti si sono resi conto di essere isolati e odiati. Se lo dicevano da soli sui giornali e nelle loro canzoni: «le donne non ci vogliono più bene perché indossiamo la camicia nera».

Si può affermare dunque che esisteva una differenza tra la violenza fascista e quella partigiana?
Assolutamente si. I partigiani, nonostante gli inevitabili eccessi, hanno preso le armi per difendere la popolazione e per liberare il Paese dall’occupazione, mentre i fascisti hanno combattuto per vendicarsi. L’influenza del nazismo in questa fase è stata decisiva: non soltanto per le SS italiane, che giurarono fedeltà direttamente a Hitler, ma anche per gli altri reparti dell’esercito e della polizia che volevano sentirsi alla pari dei camerati nazisti. Combattevano per la creazione di un Nuovo Ordine Europeo, come affermato dal gen. Archimede Mischi, in cui la Germania avrebbe dovuto «dare il là» alle nazioni europee. I fascisti volevano far parte di questo futuro e di quella élite guerriera che avrebbe dovuto governare l’Europa post-bellica.

Hanno pagato i fascisti per tutto questo?
Per quanto la violenza insurrezionale sia stata molto sanguinosa, personalmente rimango sempre stupito da quanto la popolazione italiana sia stata complessivamente tollerante nei confronti di uomini e di un movimento criminale che ha causato così tanta sofferenza.

* Domani a Roma (Libreria Spazio Sette, ore 18.30) la presentazione del volume. Dialogano con l’autore Isabella Insolvibile, Marco Mondini e Riccardo Sansone.

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