I crimini della grande industria fra horror e procedural
Al cinema «Cattive acque» di Todd Haynes, la battaglia legale contro la DuPont. Quando gli abusi del capitalismo non sono più «scandali» isolati ma cose di tutti giorni
Al cinema «Cattive acque» di Todd Haynes, la battaglia legale contro la DuPont. Quando gli abusi del capitalismo non sono più «scandali» isolati ma cose di tutti giorni
Mentre i venti di Watergate continuano a spazzare Washington, a Hollywood si vedono i sintomi di un ritorno al cinema di denuncia degli anni settanta. Evoca quelle atmosfere il nuovo film di Todd Haynes, Cattive acque, tratto da un articolo di Nathaniel Rich pubblicato sul Magazine del New York Times nel 2016, e un oggetto in apparenza insolitamente «piano», psicologicamente lineare, per il regista di Io non sono qui e Carol; ma che nella filmografia haynesiana ci riporta ai colori malati di Safe e alla soffocante malaise sociale che attraversava il melodramma classico in Lontano dal paradiso.
IL PROLOGO, ambientato negli anni settanta, potrebbe essere quello di un film dell’orrore: un gruppo di ragazzi, di notte, scavalcano delle recinzioni e si buttano ridendo nelle acque nere di uno stagno, da cui però sono messi in fuga con l’arrivo di una barca munite di torce, altoparlanti e da cui delle ombre stanno spruzzando una misteriosa sostanza.
Cut e siamo alla fine degli anni novanta. Ma i bruni un po’ sinistri e l’atmosfera oppressiva rimangono quelli tipici di certi thriller complottistici dei Seventies – come in un omaggio a Sidney Lumet.
ROBERT BILOTT (Mark Ruffalo) è appena stato promosso partner di uno studio legale di Cincinnati specializzato nella difesa di giganti dell’industria chimica quando un contadino dal paese di sua nonna si presenta con una scatola di scassate cassette Vhs e chiede aiuto. Le sue mucche stanno morendo, avvelenate da qualcosa nell’acqua. Diversamente dai protagonisti di procedural legali alla Grisham, Bilott non proietta la verve di un cuor di leone – sembra insicuro, a disagio, persino nella propria pelle. «Non ti preoccupare, non te ne facciamo una colpa», dice ridendo il suo boss (Tim Robbins) quando – mentre l’altro cerca di liberarsi dell’ostinato contadino – sente che il nuovo partner viene dallo stato poverissimo del West Virginia.
Così povero, scopriremo, quando Bilott con riluttanza accetta di farsi carico del caso, che alcuni agricoltori sono costretti a svendere la terra a industrie come la DuPont, che magari poi trasformano quei campi in discariche per scorie tossiche derivate dal teflon. Così povero, implicano le pieghe profonde del film di Haynes, che nessuno ci fa caso se troppa gente si ammala di cancro. Così povero… da non contare.
Nello specifico, Cattive acque ricostruisce come la crociata individuale di un avvocato abbia messo alla luce il fatto che, per decenni, la DuPont ha consciamente avvelenato i cittadini di Parkersburg, in West Virginia. Ad oggi, Bilott sta continuando a rappresentare con successo, una a una, le vittime di quello scempio.
Ma è la stessa storia degli Stackler di Purdue Pharma, che hanno creato milioni di tossicodipendenti mentre si arricchivano con il fentanyl; o di Adam Bowen e James Monsses, gli imprenditori di Juul Labs, inventori delle sigarette elettroniche al mentolo che adesso stanno bandendo ovunque perché dannose come il tabacco.
È LA STORIA di abusi del capitalismo che non sono più «scandali» isolati ma cose di tutti giorni. Il che rende il film di Haynes un horror autentico, allo stesso tempo necessario e disperante.
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