Economia

I conti di Stellantis scricchiolano, l’Italia sarà la prima a pagare

I conti di Stellantis scricchiolano, l’Italia sarà la prima a pagareUno stabilimento Stellantis – Foto Ansa

Automotive Cessione di Comau e aperture alla vendita di brand: la strategia di Urso è fallimentare

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 28 luglio 2024

Ora che anche i conti globali iniziano a scricchiolare, la dismissione di Stellantis in Italia è ancor di più una certezza.

Il diario dell’ultima settimana lo certifica e la strategia del governo, del ministro Urso e delle istituzioni locali – piemontesi in primis – appare sempre più fallimentare per difendere produzione e posti di lavoro nella patria della fu Fiat.

Finora la gestione di Tavares poteva infatti far leva su conti in ordine, quelli che hanno garantito alla famiglia Agnelli dividendi miliardari mentre i 60 mila lavoratori italiani del gruppo – erano 20 mila in più solo due anni fa – continuano con ammortizzatori sociali – a Mirafiori e Atessa gli ultimi annunci – e totale incertezza sul loro futuro.

Ora però perfino i numeri iniziano a dare torto a Carlos Tavares. La semestrale del 2024, resa nota giovedì, è la prima negativa nella storia del giovane gruppo nato dall’acquisizione di Psa di Fca: i ricavi netti di Stellantis sono pari a 85 miliardi di euro, il 14% in meno dello stesso periodo del 2023 e l’utile netto è di 5,6 miliardi di euro, in calo del 48%. L’utile operativo rettificato è di 8,5 miliardi di euro, in calo di 5,7 miliardi di euro per effetto del decremento in Nord America. «Per Stellantis il 2024 è un anno di transizione», ammettono ora i vertici.

In un quadro globale negativo è chiaro che l’Italia – già anello debole e marginale – subirà conseguenze negative in fatto di investimenti e allocazione di nuovi modelli. Del «non meno di venti nuovi modelli da lanciare nell’anno» annunciato da Tavares nessuno è ufficialmente previsto da noi. Il manager ha confermato l’arrivo in Europa a settembre delle auto del partner cinese Leapmotor che hanno ottenuto tutte le autorizzazioni – «È il nostro quindicesimo brand» – ma allo stesso tempo per la prima volta non ha escluso vendite di marchi: «Mi chiedete se ne abbiamo troppi? Vedrete, se non rendono li chiuderemo. È un periodo di transizione molto difficile, non possiamo permetterci di avere marchi che non rendono», ha risposto ai giornalisti. Da qualche tempo girano indiscrezioni sulla possibilità che Maserati torni nell’orbita di Ferrari: «Potremmo valutare in futuro quale sia la migliore casa per Maserati», ha ammesso Natalie Knight, chief financial officer del gruppo.

Venerdì poi è arrivata la notizia della vendita di Comau – gigante tecnologico nella produzione di robotica e automazione – al fondo statunitense One Equity Partners. Sebbene la vendita fosse prevista già al momento della fusione Psa-Fca nel gennaio 2021, la tempistica operata da Stellantis ha scatenato i sindacati, preoccupati per il futuro dei 3.800 lavoratrici e lavoratori (700 in Italia) dell’azienda.

Ha battuto un colpo perfino il ministro Urso che ha minacciato: «Valutiamo l’applicabilità della disciplina della golden power» per bloccare la vendita.

Ma proprio rispetto al rapporto con il governo italiano, Tavares ha dato rassicurazioni: «Dal punto di vista di Stellantis, non c’è assolutamente ragione per cui non ci debba essere un accordo. Abbiamo ricevuto dal ministro Urso una lettera il giorno del 125esimo anniversario della Fiat (l’11 luglio scorso) che poneva un certo numero di domande, alle quali abbiamo risposto in modo molto corretto, professionale e con buone intenzioni. Penso che queste risposte siano assolutamente le risposte che il governo italiano si aspetta da noi», ha rassicurato Tavares, in vista dell’ennesimo «tavolo automotive» convocato per il 7 agosto da Urso a cui – come da consuetudine – non parteciperà mandando manager di terza fascia senza delega a trattare.

Peccato che Urso annunciava un accordo con Stellantis per agosto, sì, ma del 2023. Un anno dopo la questione è molto più ingarbugliata e peggiorata. Il lungo tira e molla sul fantomatico «secondo produttore» – naturalmente cinese – usato come arma di ricatto da Urso per imporre nuovi investimenti a Stellantis è miseramente fallita.

I sindacati nel frattempo continuano a chiedere che sia palazzo Chigi a convocare Tavares. «Anche se la vendita di Comau era già stata presa due anni fa, non cambia la sostanza – attacca Samuele Lodi della Fiom – . Stellantis si priva di un pezzo ad alto contenuto tecnologico che conta 3.800 lavoratrici e lavoratori; il 50,1% delle quote azionarie verrà ceduta a One Equity Partners, un fondo di investimento e non ad un soggetto industriale. Le dichiarazioni rassicuranti sulle prospettive si scontra con un contesto in cui Stellantis continua a disimpegnarsi dal nostro paese. Non è più rinviabile la convocazione di un incontro alla presidenza del Consiglio sull’automotive perché la situazione continua a precipitare in tutto il settore. E Stellantis è la vera responsabile di questo processo», conclude Samuele Lodi.

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