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I contenuti, non il metodo. Nel nome di Trentin

Congresso Cgil Bruno Trentin è richiamato oggi con molta enfasi perché a differenza dell’attuale segretaria generale Susanna Camusso, non propose il suo successore ma mise in moto una consultazione vincolante di tutti i membri del direttivo. Sarebbe forse più opportuno che fosse evocato per i messaggi che lanciò con forza all’Assemblea di Chianciano del 1989 nella quale, con molto anticipo su tutti, pose il tema di come fare sindacato in un mondo del lavoro che si frammentava e si personalizzava

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 13 ottobre 2018

Da vecchio trentiniano non posso che essere contento che la memoria di Bruno Trentin entri nel dibattito congressuale della Cgil.
Bruno Trentin è richiamato infatti con molta enfasi dal membro della segreteria confederale Vincenzo Colla (v. la Repubblica dell’11 ottobre scorso) perché a differenza dell’attuale segretaria generale Susanna Camusso, non propose il suo successore ma mise in moto una consultazione vincolante di tutti i membri del direttivo.

Sarebbe forse più opportuno che Trentin fosse evocato per i messaggi che lanciò con forza all’Assemblea di Chianciano del 1989 nella quale, con molto anticipo su tutti, pose il tema di come fare sindacato in un mondo del lavoro che si frammentava e si personalizzava. E magari fare i conti con la sua angoscia, testimoniata dai diari recentemente pubblicati, nel constatare come fosse difficile cambiare la Cgil per metterla in grado di affrontare c on decisione i compiti nuovi che il mutamento politico e sociale poneva al sindacato. In una situazione in cui la sinistra politica stava perdendo ogni capacità di leggere le dinamiche sociali, e faceva della modernizzazione e della innovazione senza aggettivi, della «governabilità», la sua fondamentale ragion d’essere.

Trentin aveva chiaro che di fronte alla frammentazione sociale che attraversava il mondo del lavoro e la società intera non era possibile limitarsi a difendere il fortino,
ma occorreva senza remore aprirsi alle nuove soggettività lontane dai modi tradizionali in cui il sindacato pensava se stesso e le sue regole di rappresentanza. Aprirsi al lavoro precario e instabile, fare i conti con la cultura del femminismo e dell’ambientalismo, fino a stringere coi nuovi movimenti forme di consultazione e di co-decisione permanente, ogni volta che la contrattazione affrontava problemi che avevano una ricaduta sulla vita quotidiana delle persone, dentro e fuori dei luoghi di lavoro.

Nella intervista di Colla, Trentin diventa una questione di metodo. E in maniera a dire il vero un po’ astratta. Bruno Trentin lasciò la segreteria della Cgil a metà del suo mandato, molto prima del Congresso. Nella Cgil era in corso un dibattito con due visioni esplicitamente diverse del sindacato. Da un lato Sergio Cofferati, dall’altra Alfiero Grandi come referenti fondamentali. C’era una esplicita differenza di linea. Trentin, che non amava le correnti né le cordate decise di risolvere la questione prima del Congresso, perché la sua idea di sindacato richiedeva militanti capaci di partecipare
all’elaborazione politica con le proprie idee e le proprie esperienze, e non invece un Congresso in cui le persone fossero invitate a schierarsi. Designò così una Commissione di saggi per individuare il suo successore, che doveva gestire il Congresso, proprio per evitare che diventasse alla fine una conta fra correnti «personalizzate».

Fu scelto, dalla maggioranza del Direttivo, Sergio Cofferati e fu Cofferati a gestire il Congresso.

Luciano Lama, la cui scadenza dalla carica di segretario generale avveniva contestualmente alla scadenza congressuale, indicò Antonio Pizzinato come suo successore prima del Congresso, che ratificò quella scelta. Come del resto ha fatto Susana Camusso, che dopo un giro di consultazioni si è resa conto di quello che è immediatamente percepibile da chiunque: che la maggioranza degli iscritti della Cgil, e ancora di più i nuovi lavoratori che la Cgil deve provare a rappresentare, vedono in Landini la persona più adatta a guidare la Cgil in questo momento difficile, che mette alla prova l’autonomia e la tenuta stessa del maggior sindacato italiano. Ma la scelta è impropria, dice Colla, perché sono gli organismi, l’Assemblea che uscirà dal Congresso, a scegliere il segretario, e quindi nessuna indicazione andava fatta prima del Congresso, ma la segretaria generale uscente avrebbe dovuto restare invece in rispettosa attesa della nuova Assemblea.

Dal momento che quello che si contesta non è la linea politica e nemmeno la persona ma il metodo, e che Vincenzo Colla ha comunque avanzato la sua candidatura, se la Camusso non si fosse espressa avremmo assistito ad un Congresso caratterizzato dalla caccia ai delegati disposti a sostenere questo o quello.
Chi è contrario a Landini dovrebbe spiegare le ragioni politiche della sua contrarietà. Susanna Camusso ha dato le motivazioni della sua proposta. Chi è contrario argomenti con altrettanta chiarezza. Non è proprio trentiniano occultare le differenze politiche sotto una questione di metodo.

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