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I conflitti bellici corrono e cresce il fatturato delle armi

I conflitti bellici corrono e cresce il fatturato delle armiEurosatory, la fiera internazionale della Difesa e Sicurezza Terrestre e Aerea Terrestre a Villepinte, Francia – Ap

I rapporti Il mercato della spesa militare ha raggiunto nel mondo la cifra di 592 miliardi di dollari. Nel bilancio italiano più 800 milioni. Un ciclo perverso: «bisogna» riempire di nuovo gli arsenali 

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 6 dicembre 2022

Per l’industria globale degli armamenti non c’è pandemia che tenga, né crisi della logistica, né difficoltà nella catena di distribuzione delle merci. Le armi continuano a viaggiare nonostante tutto e la spesa totale per farne rifornimento continua ad aumentare in barba alla crisi. Lo dice il Sipri di Stoccolma, l’istituto svedese che monitora il commercio mondiale delle armi.

E se l’Unione europea ha appena dato luce verde all’erogazione di oltre un miliardo per finanziare progetti «in collaborazione» nel settore della Difesa, l’Italia fa la sua parte nella compagnia internazionale che smercia sistemi d’arma nel pianeta: se intanto vende armi all’estero, nel Belpaese fa lievitare di 800 milioni la spesa militare nazionale del 2023 rispetto al 2022, come ha appena reso noto il rapporto Milex, l’Osservatorio sulle spese militari italiane, nato nel 2016, che ha analizzato le linee di spesa della nuova Legge di bilancio.

È un quadro amaro per il mondo e per l’Italia. E soprattutto per chi questo commercio lo subisce: le vittime civili che crescono di pari passo alla vendita di armamenti e alla spesa militare.

IL RAPPORTO del Sipri sulle «Top 100 arms companies» è stato reso pubblico ieri mattina. Dice che le vendite di armi e servizi militari da parte delle 100 più grandi aziende del settore hanno raggiunto 592 miliardi di fatturato nel 2021, un aumento dell’1,9 per cento rispetto al 2020 in termini reali. Aggiunge che l’aumento segna il settimo anno consecutivo nella crescita globale della vendita di armi.

I dati sono di prima della guerra in Ucraina che però rientra nei commenti a margine del rapporto: già colpita dagli effetti della pandemia, l’industria delle armi ha sofferto i buchi nella catena di distribuzione e approvvigionamento globale ma ciononostante è riuscita a crescere pur se in parte la produzione è diminuita anche per carenze di manodopera.

Sui reali effetti della guerra sulle vendite – di cui abbiamo per ora dati sommari – ne sapremo di più nel 2023 ma il Sipri spiega che l’invasione russa dell’Ucraina ha aggiunto problemi alla catena di approvvigionamento anche «perché la Russia è un importante fornitore di materie prime utilizzate nella produzione di armi» e che «ciò potrebbe ostacolare gli sforzi in corso negli Stati Uniti e in Europa per rafforzare le loro forze armate e ricostruire le scorte», dopo aver svuotato gli arsenali spedendo armi a Kiev.

Problemi dunque per «alcuni dei principali produttori di armi» che faticheranno a soddisfare «la nuova domanda creata dalla guerra ucraina».Problemi che non hanno impedito al settore di aumentare il suo fatturato.

QUANTO ALL’ITALIA, il Belpaese si distingue per la presenza di Leonardo e Fincantieri tra i grandi produttori mondiali. Godono di ottima salute, tanto che Leonardo è tra le prime 12 nella “Top100” delle aziende listate dal Sipri secondo il valore delle armi vendute nel 2021: ha guadagnato due gradini in classifica dal 2020 dopo colossi come la Lockheed Martin (tra le prime cinque, tutte americane), l’inglese BAE Sistem e cinque società cinesi. Fincantieri è solo a metà del guado, ma sale dal 48mo posto al 46mo.

Sul fronte interno, le stime preliminari dell’Osservatorio Milex – basate sull’elaborazione dei dati contenuti nelle Tabelle dei bilanci previsionali del Ministero della Difesa e degli altri dicasteri che contribuiscono alla spesa militare italiana (ex Mise e Mef) – prevedono un nuovo incremento complessivo della spesa militare di oltre 800 milioni di euro

. La spesa prevista dalla Legge di Bilancio 2023, inviata dal Governo al Parlamento, passa infatti dai 25,7 miliardi previsionali del 2022 ai 26,5 miliardi stimati per il prossimo anno. Dopo che la Legge di Bilancio verrà approvata, Milex pubblicherà una revisione più approfondita sulle spese militari italiane 2023 e si potrà dunque fare la stima anche del cosiddetto «bilancio integrato in chiave Nato» e quindi della sua incidenza percentuale sul Pil nazionale.

A trainare l’aumento in Italia è il bilancio ordinario della Difesa che prevede una maggiorazione dei costi del personale di Esercito, Marina e Aeronautica (oltre 600 milioni in più) e maggiori risorse dirette destinate all’acquisto di nuovi armamenti (quasi 700 milioni in più).

Altra voce fondamentale della spesa militare – dice ancora il rapporto – è quella dei costi per le missioni militari all’estero, che vengono finanziate da un fondo assegnato al bilancio del Mef e poi trasferito alla Difesa. Quanto agli investimenti per nuovi armamenti il budget annuale complessivo destinato al riarmo nazionale è di oltre 8 miliardi di euro.

È IMPORTANTE COMUNQUE sottolineare un dato: se si può accusare il Governo Meloni di non avere una strategia di lotta alla povertà in Italia e di voler anzi contenere le poche iniziative per contrastarla, va detto che l’aumento complessivo registrato nel bilancio della Difesa non è solo merito del suo esecutivo: va infatti considerato circa un miliardo che viene da fondi previsti dalla «legislazione vigente» e che si deve quindi alle scelte degli anni precedenti, in particolare a quelle del Governo Draghi e del ministro della Difesa Lorenzo Guerini in quota Pd.

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«Difesa comune», dall’Ue 1,2 miliardi

La Ue investe 1,2 miliardi di euro in 61 progetti di cooperazione industriale della difesa: coinvolte 700 imprese di 26 paesi Ue più la Norvegia. I settori sono: prossima generazione di aerei da combattimento, carri armati, veicoli e navi blindate, nuove tecnologie “di rottura” (quantiche, nuovi materiali), Intelligenza artificiale, cloud, semi-conduttori, cyber-spazio, contro misure mediche.

È la prima iniziativa del Fed, Fondo europeo di difesa, che nel giugno 2021 ha ricevuto un finanziamento Ue di 7,9 miliardi di euro nel bilancio 2021-27. Il Fed si aggiunge alle politiche nazionali, spesso molto dipendenti dagli Usa. La Ue non ha un esercito, ma punta ad una politica comune di difesa.

C’è un Alto rappresentante della politica estera e di difesa, Mr.Pesc, oggi Josep Borrell. Nel marzo 2021 è nata la Fep, Facilità europea per la pace, con 5 miliardi per finanziare dimensione militare politica estera. Al via il 25 marzo lo Strategic Compass con obiettivi di sicurezza verso il 2030.

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