Francesca Re David, segretaria generale della Fiom, i commissari dell’Ilva hanno presentato una denuncia ai carabinieri di Genova per i danni causati durante l’occupazione all’Ilva di Cornigliano a Genova.

Nelle vertenze che prevedono esuberi ci sono sempre scioperi e presidi. I lavoratori hanno garantito la sicurezza in fabbrica e non c’è stato alcun blocco delle attività necessarie. Dopo di che mi auguro che quello dei commissari sia un atto dovuto perché diversamente si rischia di esacerbare una trattativa già difficile.

Erano anni che non veniva occupata una fabbrica così grande.

Non è una novità che a Genova i lavoratori siano in grado di incidere con la mobilitazione sull’esito delle vertenze. C’è una città intera che li sostiene e loro sono rappresentativi della città. Anche perché rivendicano un accordo – l’Accordo di programma del 2005 – in cui come lavoratori rinunciarono alla produzione a caldo per il bene ambientale della città.

Una cosa del genere può succedere solo a Genova?

Succede anche a Taranto, sebbene con più contraddizioni. Ed è la dimostrazione che lavoro e ambiente non sono in contraddizione.

L’accordo di programma è del 2005. Sono passati dodici anni, forse troppi…

È pienamente vigente e in questi anni ha permesso agli operai l’occupazione con i Lavori socialmente utili, mentre ha dato all’Ilva terreni demaniali consistenti. Non si può far finta che quell’accordo non ci sia e non si può discutere quell’accordo solo fra istituzioni come ha deciso di fare Calenda. Anche perché è previsto che possa essere cambiato solo in pieno accordo con tutte le parti. E il sindacato è una di queste. Quindi noi chiediamo che Calenda convochi allo stesso tavolo anche i sindacati e in quel momento il presidio a Genova cesserà.

Fim e Uilm però vi accusano di «dittatura della minoranza». Non c’è il rischio di vanificare tutta la trattativa con Arcelor Mittal?

Apprezzo le dichiarazioni di Fim e Uilm che ribadiscono come non ci sia differenza nei contenuti della trattativa e nel ribadire la richiesta del rispetto dell’Accordo di programma del 2005. Ci sono state differenze solo nella valutazione sul territorio delle forme di mobilitazione. L’operazione Ilva è un investimento di 5 miliardi, se salta per uno sciopero significherebbe che era molto fragile in partenza.

Domani riparte la trattativa al Mise. Cosa vi aspettate?

Noi contestiamo l’idea che la trattativa si limiti alle tecnicalità dell’articolo 47 per l’affitto del ramo d’azienda. Qua la partita è molto più generale e complessa. E per questo è giusto che a discutere siano chiamate le confederazioni e tutte le istituzioni, a partire dalle Regioni e dai Comuni coinvolti visto che hanno competenze specifiche in materia. In questa trattativa i conflitti istituzionali non aiutano ad arrivare all’accordo.

Il ministro Calenda ha richiamato all’ordine Arcelor Mittal sul rispetto dei contratti ma sui 4 mila esuberi non ha eccepito alcunché. Siete ancora dell’idea che si possano azzerare?

La trattativa si è riaperta non solo grazie al ministro, ma agli scioperi che quel giorno hanno bloccato tutti gli stabilimenti Ilva. Noi l’accordo che il governo ha sottoscritto con Arcelor Mittal non l’abbiamo mai visto. Ora dovremmo discutere del piano industriale e poi del piano ambientale, tutto si tiene. Ricordo però che l’accordo sindacale è necessario per completare l’acquisto e noi sindacati non firmeremo mai un accordo che preveda anche un solo licenziamento.

Su questo pensate di chiedere la continuità del rapporto di lavoro fra la gestione dei Riva e questa di Arcelor Mittal?

Il tema esiste. Il Mise sostiene che la legislazione europea con cui è stata fatta la gara di aggiudicazione prevede la discontinuità del rapporto. Vedremo se si potrà intervenire su questo punto.

La siderurgia italiana pare maledetta. A Piombino la crisi va avanti dal 2012 e Rebrab è il terzo proprietario che non riesce a fare ripartire le acciaierie.

Scontiamo 20 anni di mancata politica industriale e Piombino è lo specchio di questo disastro. Calenda ha fatto bene a far valere l’addendum contro Rebrab. Ora il governo deve trovare chi faccia veramente produrre acciaio a Piombino. Noi rilanciamo l’idea dell’intervento di Cassa Depositi e Prestiti: lo Stato sia garante del rilancio dell’acciaio. Dopotutto sia Taranto che Terni che Piombino erano dell’Italsider.