Che il regime fiscale irlandese sia notevolmente agevolato per le aziende multinazionali (12.5%) è un fatto ben noto: si sta trattando proprio in questi giorni di aumentare la tassazione per raggiungere il 15% proposto dal governo statunitense come soglia internazionale minima. Meno noto, tuttavia, è un altro aspetto della politica di Dublino che la rende attraente alle aziende internazionali, ovverosia il suo atteggiamento tollerante nei confronti dei centri di elaborazioni dati (data centres).

I CENTRI DI ELABORAZIONI dati sono infrastrutture informatiche necessarie per un vasto numero di servizi internet. Forniscono, per esempio, la forza computazionale richiesta a mantenere operativi grossi portali internet come Amazon e Google, ma garantiscono anche molti servizi di connettività come la piattaforma Zoom con cui tutti noi siamo diventati familiari durante la pandemia. Tuttavia, è importante osservare che la maggior parte delle attività di questi centri sono dedicate all’analisi dei dati utenti a scopi commerciali (o data mining): la loro grande capacità di calcolo è volta all’estrazione di dati utili alle compagnie per prendere di mira i naviganti con materiale pubblicitario.

In Irlanda si trovano al momento circa 70 di questi centri e altri 8 sono attualmente in costruzione. La necessità di simili infrastrutture è infatti aumentata negli ultimi anni, con un incremento considerevole durante la pandemia: l’espansione dei centri dati è aumentata infatti del 25% solo nel corso dell’ultimo anno.

SEBBENE SU SCALA mondiale questi centri assorbono in media il 2% del totale consumo elettrico, in Irlanda assorbono attualmente circa l’11%; entro il 2030 il tasso potrebbe raggiungere il 30%. Molti altri centri sono attualmente in fase di approvazione. I piani espansionistici della sola Amazon sono da sé sufficientemente allarmanti: se le intenzioni del gigante americano verranno soddisfatte, i centri dati previsti nel futuro prossimo consumeranno da soli il 4.4% dell’intera capacità energetica irlandese, il corrispettivo del consumo di un milione e mezzo di unità abitative. L’esorbitante dispendio di energia richiesto da questi centri è necessario perché possano far fronte a qualunque possibile corto circuito, surriscaldamento, o imprevisto d’altro genere. Alcune delle compagnie fornitrici assicurano un funzionamento ineccepibile per il 99,995% del tempo, vale a dire 27 secondi di indisponibilità l’anno. Per assicurare simili prestazioni, i centri di elaborazione dati vengono costruiti secondo il principio della ridondanza, stipandoli di gruppi elettrogeni di scorta, di enormi sistemi di raffreddamento, e di batterie di riserva grandi come intere biblioteche. Tali centri sono tarati per lavorare normalmente a circa 60% della loro capacità così d’avere le risorse per fronteggiare imprevisti.

EIRGRID, L’ENTE NAZIONALE statale per l’energia elettrica irlandese, ha lanciato ben 7 allarmi gialli perché quest’inverno si potrebbero verificare blackout dovuti all’eccessivo consumo energetico causato dai centri attualmente operativi sull’isola.

I critici sostengono che non si tratta solo del consumo di energia, la maggior parte della quale in Irlanda, come altrove in Europa e nel mondo, è di origine fossile. I centri dati consumano in media circa mezzo milione di litri d’acqua al giorno necessari a raffreddare i circuiti elettrici. Inoltre, non rappresentano un beneficio diretto per le comunità in cui sorgono. Non generano infatti posti di lavoro nemmeno lontanamente sufficienti a rendere giustificabile una simile razzia di risorse naturali: si parla di 30-50 posti lavoro necessari per la manutenzione e la gestione di ciascun centro.

I CENTRI DATI rappresentano il lato oscura della nuova economia del settore internet e del capitalismo delle piattaforme: l’avvento dei giganti della Silicon Valley negli anni ’90 e 2000 era stato accolto con entusiasmo dovuto all’implicita promessa verde del settore, quantomeno decisamente più sostenibile dei vecchi giganti economici dell’industria petrolifera, automobilistica, o manifatturiere. Le compagnie tecnologiche hanno sfruttato quest’opportunità creando un’intera immagine basata sull’idea che l’economia ventura del silicio avrebbe avuto un impatto molto minore sull’ambiente. Come rivelano le cifre citate, la realtà è ben diversa e giustifica le perplessità dei critici del settore.

CHE QUESTE STRUTTURE informatiche siano diventate ormai essenziali alla nostra quotidianità è fuor di discussione; si è ben lontani dal volere una nuova forma di luddismo, fosse anche sulla base di motivazioni ambientali e di utilizzo delle risorse naturali; ma l’Irlanda ospita un numero assolutamente sproporzionato di queste strutture senza che la popolazione ne tragga alcun beneficio adeguato e senza potersi esprimere direttamente in materia. In questo senso il governo irlandese, che ancora oggi vede in carica i due medesimi partiti che si sono avvicendati per 100 anni a partire dalla formazione dello stato nazionale, si rivela supino alle multinazionali d’oltreoceano e privo di qualunque determinazione politica autonoma. Come hanno confermato gli sviluppi recenti in materia di regime fiscale, è solo sotto enormi pressioni esterne che l’Irlanda può andare contro alle medesime multinazionali che ha corteggiato per decenni.

L’ ATTEGGIAMENTO tollerante in materia di centri dati è, a ben vedere, perfettamente in accordo con il passato politico della tigre celtica: l’Irlanda non ha attratto investimenti stranieri soltanto stracciando le sue imposte fiscali, ma ha similmente svenduto le sue risorse naturali, in primis terra e acqua, di cui disponeva in abbondanza in proporzione alla popolazione ristretta dell’isola. Si noti che l’attuale governo è affiancato in coalizione dai Verdi, che si sono rivelati altrettanto servili nei confronti degli investimenti stranieri e non hanno minimamente criticato la politica di assecondamento del governo irlandese sulla questione dei centri dati; occorre riconsiderare criticamente il supposto potenziale verde dell’economia della rete.