I centri dati e l’energia irlandese
Il lato oscuro della nuova economia Le infrastrutture dei colossi del digitale richiedono un dispendio enorme di risorse. Al momento in Irlanda esistono circa 70 di questi centri, altri 8 sono in costruzione, che assorbono circa l’11% del consumo elettrico, ed entro il 2030 si potrebbe arrivare al 30%. Ma il governo di Dublino, anche in questo caso, è supino alle multinazionali
Il lato oscuro della nuova economia Le infrastrutture dei colossi del digitale richiedono un dispendio enorme di risorse. Al momento in Irlanda esistono circa 70 di questi centri, altri 8 sono in costruzione, che assorbono circa l’11% del consumo elettrico, ed entro il 2030 si potrebbe arrivare al 30%. Ma il governo di Dublino, anche in questo caso, è supino alle multinazionali
Che il regime fiscale irlandese sia notevolmente agevolato per le aziende multinazionali (12.5%) è un fatto ben noto: si sta trattando proprio in questi giorni di aumentare la tassazione per raggiungere il 15% proposto dal governo statunitense come soglia internazionale minima. Meno noto, tuttavia, è un altro aspetto della politica di Dublino che la rende attraente alle aziende internazionali, ovverosia il suo atteggiamento tollerante nei confronti dei centri di elaborazioni dati (data centres).
I CENTRI DI ELABORAZIONI dati sono infrastrutture informatiche necessarie per un vasto numero di servizi internet. Forniscono, per esempio, la forza computazionale richiesta a mantenere operativi grossi portali internet come Amazon e Google, ma garantiscono anche molti servizi di connettività come la piattaforma Zoom con cui tutti noi siamo diventati familiari durante la pandemia. Tuttavia, è importante osservare che la maggior parte delle attività di questi centri sono dedicate all’analisi dei dati utenti a scopi commerciali (o data mining): la loro grande capacità di calcolo è volta all’estrazione di dati utili alle compagnie per prendere di mira i naviganti con materiale pubblicitario.
In Irlanda si trovano al momento circa 70 di questi centri e altri 8 sono attualmente in costruzione. La necessità di simili infrastrutture è infatti aumentata negli ultimi anni, con un incremento considerevole durante la pandemia: l’espansione dei centri dati è aumentata infatti del 25% solo nel corso dell’ultimo anno.
SEBBENE SU SCALA mondiale questi centri assorbono in media il 2% del totale consumo elettrico, in Irlanda assorbono attualmente circa l’11%; entro il 2030 il tasso potrebbe raggiungere il 30%. Molti altri centri sono attualmente in fase di approvazione. I piani espansionistici della sola Amazon sono da sé sufficientemente allarmanti: se le intenzioni del gigante americano verranno soddisfatte, i centri dati previsti nel futuro prossimo consumeranno da soli il 4.4% dell’intera capacità energetica irlandese, il corrispettivo del consumo di un milione e mezzo di unità abitative. L’esorbitante dispendio di energia richiesto da questi centri è necessario perché possano far fronte a qualunque possibile corto circuito, surriscaldamento, o imprevisto d’altro genere. Alcune delle compagnie fornitrici assicurano un funzionamento ineccepibile per il 99,995% del tempo, vale a dire 27 secondi di indisponibilità l’anno. Per assicurare simili prestazioni, i centri di elaborazione dati vengono costruiti secondo il principio della ridondanza, stipandoli di gruppi elettrogeni di scorta, di enormi sistemi di raffreddamento, e di batterie di riserva grandi come intere biblioteche. Tali centri sono tarati per lavorare normalmente a circa 60% della loro capacità così d’avere le risorse per fronteggiare imprevisti.
EIRGRID, L’ENTE NAZIONALE statale per l’energia elettrica irlandese, ha lanciato ben 7 allarmi gialli perché quest’inverno si potrebbero verificare blackout dovuti all’eccessivo consumo energetico causato dai centri attualmente operativi sull’isola.
I critici sostengono che non si tratta solo del consumo di energia, la maggior parte della quale in Irlanda, come altrove in Europa e nel mondo, è di origine fossile. I centri dati consumano in media circa mezzo milione di litri d’acqua al giorno necessari a raffreddare i circuiti elettrici. Inoltre, non rappresentano un beneficio diretto per le comunità in cui sorgono. Non generano infatti posti di lavoro nemmeno lontanamente sufficienti a rendere giustificabile una simile razzia di risorse naturali: si parla di 30-50 posti lavoro necessari per la manutenzione e la gestione di ciascun centro.
I CENTRI DATI rappresentano il lato oscura della nuova economia del settore internet e del capitalismo delle piattaforme: l’avvento dei giganti della Silicon Valley negli anni ’90 e 2000 era stato accolto con entusiasmo dovuto all’implicita promessa verde del settore, quantomeno decisamente più sostenibile dei vecchi giganti economici dell’industria petrolifera, automobilistica, o manifatturiere. Le compagnie tecnologiche hanno sfruttato quest’opportunità creando un’intera immagine basata sull’idea che l’economia ventura del silicio avrebbe avuto un impatto molto minore sull’ambiente. Come rivelano le cifre citate, la realtà è ben diversa e giustifica le perplessità dei critici del settore.
CHE QUESTE STRUTTURE informatiche siano diventate ormai essenziali alla nostra quotidianità è fuor di discussione; si è ben lontani dal volere una nuova forma di luddismo, fosse anche sulla base di motivazioni ambientali e di utilizzo delle risorse naturali; ma l’Irlanda ospita un numero assolutamente sproporzionato di queste strutture senza che la popolazione ne tragga alcun beneficio adeguato e senza potersi esprimere direttamente in materia. In questo senso il governo irlandese, che ancora oggi vede in carica i due medesimi partiti che si sono avvicendati per 100 anni a partire dalla formazione dello stato nazionale, si rivela supino alle multinazionali d’oltreoceano e privo di qualunque determinazione politica autonoma. Come hanno confermato gli sviluppi recenti in materia di regime fiscale, è solo sotto enormi pressioni esterne che l’Irlanda può andare contro alle medesime multinazionali che ha corteggiato per decenni.
L’ ATTEGGIAMENTO tollerante in materia di centri dati è, a ben vedere, perfettamente in accordo con il passato politico della tigre celtica: l’Irlanda non ha attratto investimenti stranieri soltanto stracciando le sue imposte fiscali, ma ha similmente svenduto le sue risorse naturali, in primis terra e acqua, di cui disponeva in abbondanza in proporzione alla popolazione ristretta dell’isola. Si noti che l’attuale governo è affiancato in coalizione dai Verdi, che si sono rivelati altrettanto servili nei confronti degli investimenti stranieri e non hanno minimamente criticato la politica di assecondamento del governo irlandese sulla questione dei centri dati; occorre riconsiderare criticamente il supposto potenziale verde dell’economia della rete.
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