Alessandro Cerofolini nel suo libro «Le meraviglie dei boschi italiani», uscito per Altreconomia edizioni, «chiama per nome i boschi più belli di ogni regione», scrive Daniele Zovi, che dopo una vita passata nel Corpo Forestale dello Stato è oggi scrittore e divulgatore. I due sono stati colleghi: anche Cerofolini è dal 1995 Ufficiale del Corpo Forestale, dopo la cui soppressione è diventato dirigente al Ministero dell’agricoltura.

Il suo incarico è quello di Direttore degli alberi monumentali e dei boschi vetusti d’Italia, un osservatorio perfetto da cui scrivere una «guida sentimentale al patrimonio forestale più bello d’Europa», come recita il sottotitolo del libro (208 pagine, 16 euro). Prima di arrivare a scoprirne le meraviglia, però, abbiamo chiesto a Cerofolini – che nella prima parte del testo descrive tutto ciò che c’è da sapere sulle foreste italiane – di farci capire come stanno i boschi italiani.

L’aumento della superficie forestale è davvero solo una buona notizia?

I boschi italiani sono molto estesi, molto diversi, molto belli, molto complessi, crescono in modo costante e uniforme su tutto il territorio nazionale e al tempo stesso sono fragili ed esposti a tante criticità. L’Italia forestale, da un punto di vista produttivo e selvicolturale, è un paese ricco di boschi poveri e poco utilizzati (ossia, poco tagliati) mentre da un punto di vista naturalistico è un paese di boschi ricchi di biodiversità vegetale, animale e paesaggistica: da questo punto di vista l’Italia vanta il patrimonio forestale più bello e più vario d’Europa.

L’aumento dei boschi italiani, che hanno raggiunto gli 11,1 milioni di ettari, pari al 37% del territorio nazionale, è in sé una bella notizia di cui andare orgogliosi, ma questa avanzata del bosco è incontrollata e non gestita, frutto dell’abbandono delle zone interne della nazione e della incomprensibile soppressione del Corpo Forestale dello Stato, e per questo porta con sé una serie di conseguenze vaste e complesse, tra cui gli incendi boschivi fuori controllo e il dissesto idrogeologico, con frane, smottamenti e alluvioni.

Un bel bosco è frutto di pianificazione e gestione, mentre oggi c’è chi inneggia alla wilderness. Che cosa rende davvero bello un bosco e perché, invece, dovrebbe preoccuparci il suo abbandono?

Un bosco ben curato, gestito in modo sostenibile e secondo i principi della selvicoltura naturalistica, offre ai cittadini migliori servizi ecosistemici e una fruizione più piacevole. Va bene anche la wilderness, ma le aree dovrebbero comunque essere sempre sottoposte a controlli e monitoraggi, come avviene per le Riserve naturali dello Stato, istitute negli anni passati dal Corpo Forestale.

Un bosco non gestito, senza cura per le strade forestali destinate ai mezzi di soccorso, senza manutenzione delle opere di sistemazione idraulico forestali, senza diradamenti selvicolturali, senza una rete sentieristica, è bosco non frequentabile dai cittadini, è esposto a incendi fuori controllo per l’impenetrabilità dei mezzi antincendio e per l’enorme biomassa presente.

Cinque anni fa è stato approvato un nuovo Testo unico forestale: quali principi introduce? In che modo la Strategia Forestale Nazionale potrebbe rispondere ai problemi evidenziati?

Il Testo unico forestale rappresenta la nuova legge quadro nazionale in materia di boschi e filiere forestali, introduce innovativi approcci concettuali, come ad esempio la nuova definizione giuridica di bosco («bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare per la stabilità e il benessere delle generazioni presenti e future», articolo 1 comma I), prevede nuovi strumenti operativi, come la pianificazione forestale e la gestione forestale sostenibile e anche l’attuazione di una nuova Strategia forestale nazionale in cui vengono definiti gli indirizzi nazionali per la tutela ma anche per lo sviluppo del settore forestale e delle sue filiere produttive.

In pratica, la Strategia forestale delinea in modo dettagliato e programmatico il futuro dei boschi italiani, al fine di portare l’Italia ad avere foreste estese e resilienti, conservare la ricchezza in biodiversità, capaci di contribuire alla mitigazione dei cambiamenti climatici e di offrire maggiori servizi ecosistemici gratuiti ai cittadini.

Oggi sei Direttore degli alberi monumentali e dei boschi vetusti d’Italia: perché è importante conoscerli e promuoverne la conoscenza?

Gli alberi monumentali sono i nostri patriarchi verdi, veri e propri monumenti naturali, alberi secolari e testimoni del tempo, custodi di memorie, fonte di vita e di bellezza. A dieci anni dall’istituzione del registro, sono circa 4 mila gli esemplari censiti (sono tutti navigabili sul sito del Ministero). I boschi vetusti invece costituiscono la parte migliore del patrimonio nazionale: sono importantissimi scrigni di biodiversità vegetale e animale, tipici dei sistemi forestali maturi e complessi. La tutela degli alberi monumentali e dei boschi vetusti costituiscono un elemento fondamentale per la conservazione della natura in Italia, oltre la quale non si può derogare, ma solo migliorare la salvaguardia degli ecosistemi forestali, al fine di trasmetterli integri alle generazioni future.

Tra i tanti itinerari e boschi descritti nel libro, se dovessi invitare i tuoi lettori a visitare tre luoghi quali sarebbero?

La scelta è difficile, perché per un forestale tutti i boschi sono meritevoli di visita, attenzione e cura. E poi perché l’Italia è veramente piena di boschi meravigliosi. Obbligato a indicarne soltanto tre, scelgo la faggeta vetusta di Sasso Fratino, la foresta demaniale di Somadida, le belle e vaste foreste della Val Rendena. La prima si trova nel cuore selvaggio del Parco nazionale delle foreste casentinesi, sede della prima riserva naturale statale, istituita nel 1959 dal Corpo Forestale dello Stato, estesa per 765 ettari sul versante forlivese del crinale appenninico e ora riconosciuta dall’Unesco come Patrimonio mondiale dell’umanità.

In questo bosco, l’uomo non interviene più in alcun modo e lascia fare tutto alla natura. In pratica sta tornando a essere una foresta vergine, da secoli scomparse in Italia. È forse il bosco vetusto più bello d’Italia, in cui sono stati scoperti numerosi esemplari di faggio, alti oltre 40 metri, con diametri superiori a un metro, che superano i cinque secoli di età. La seconda è una Riserva naturale dello Stato estesa per 1.700 ettari tra Auronzo di Cadore e il lago di Misurina, nel bellunese.

Uno splendido bosco di conifere alpine (prevalentemente di abete rosso e abete bianco), tanto caro al regista Ermanno Olmi per averci girato il film tratto dal bellissimo libro di Dino Buzzati Il segreto del bosco vecchio. È il bosco più grande del Cadore e una delle foreste più belle delle Dolomiti.

Passeggiare in silenzio sulle strade forestali tra gli abeti, ascoltare il battito del becco del picchio rosso sul tronco, vedere lo scoiattolo sul ramo che rosicchia una pigna, ammirare una famiglia di cervi che pascola in lontananza nel sottobosco di mirtilli e rododendri, sono solo alcune delle esperienze emozionali che offre questo bosco alpino. Infine, la foresta della Val Rendena, nel Parco naturale Adamello Brenta: con i suoi 62 mila ettari di estensione costituisce l’area naturale protetta più grande del Trentino. Qui il territorio montano è caratterizzato da estrema ricchezza e varietà di boschi di latifoglie e conifere, radure, praterie, torrenti, laghi, stagni, torbiere, cascate, ghiacciai e cime imponenti.