I Beatles di Danny Boyle
Interviste speciale estate Autore inglese di culto per Trainspotting ora con i "Fab Four" in "Yesterday nelle sale dal 26 settembre
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Danny Boyle ti fissa con lo sguardo al contempo penetrante e gentile che emana dal volto scavato di Mancuniano doc (così si chiamano gli abitanti di Manchester). Il 62enne regista è nato e cresciuto nella metropoli settentrionale da genitori irlandesi cattolici working class e ha rischiato di finire prete («come John Woo, M Night Shyamalan e Martin Scorsese,» ama ricordare lui stesso) prima di passare alle arti drammatiche e una carriera che ne ha fatto uno degli autori britannici più interessanti della sua generazione. L’esordio avviene con Shallow Grave (Piccoli Omicidi fra Amici), la sardonica black comedy tratta dal romanzo di John Hodge che lo segnala da subito come voce singolare e lancia la sua collaborazione con lo scrittore e con Ewan McGregor l’alter ego scozzese sullo schermo. Il successivo Trainspotting – che Hodge adatta da Irvine Welsh – è il cult che li consacra entrambi come punti di riferimento culturali e generazionali. La dozzina di film che seguono tracciano una carriera piena di film importanti, e qualche «liscio», ma mai film banali. Dall’ horror di 28 Days Later (28 Giorni Dopo) alla fantascienza concettuale di Sunshine, il docudrama 127 Hours (127 ore), passando per l’Oscar a Slumdog Millionaire (Millionaire) ai recenti Steve Jobs e T2 Trainspotting – uno dei migliori sequel di sempre. Fanatico tifoso del Bury, attualmente in serie C (e già vorremmo vedere quel film). Ora con Yesterday, affronta un mostro sacro British: i Beatles che dalla sua Inghilterra settentrionale hanno conquistato il mondo. Sceneggiato da Richard Curtis (Bridget Jones, 4 Matrimoni e un funerale) il film è un’escursione assolutamente originale nel genere rom-com, ma in realtà un delizioso fantasy musicale e generazionale. Un film che immagina la scomparsa del più grande gruppo pop di sempre dalla memoria di tutti salvo quella di uno sfigato aspirante musicista folk. Un tenero «Black Mirror» che immagina un mondo senza Beatles per sondare il segno lasciato dalla band e dalla musica sul mondo – su noi tutti.
Come ha trovato l’idea?
Era nel copione e come dico sempre leggere la sceneggiatura per un regista è la cosa più vicina all’esperienza dello spettatore, il vero primo impatto perché poi il film «sparisce» nella produzione. Così nella prima lettura ho provato quello che spero voi possiate avere dal film e cioè: «Dio mio, che idea meravigliosa, com’è possibile che nessuno c vi abbia pensato prima!»
Domanda d’obbligo: cosa hanno rappresentato per lei i Beatles?
Non ne ero ossessionato, Richard Curtis che h a scritto la sceneggiatura invece sì, lui era uno di quelli che urlavano ai concerti, era un urlatore, anche se a vederlo non si direbbe. Io ero più un tipo da Bowie e Led Zeppelin. Però su un progetto come questo ti rendi conto che poi in realtà sai tutto su di loro. Conosci le canzoni, le sai e basta. E ancora più singolare è che anche per le nuove generazioni è così e ti domandi «ma dove le hanno imparate?» La mia teoria è che si trovino nel nostro DNA. Non sappiamo bene come funzioni la musica ma io credo che appartenga a tutti noi e che stia lì in attesa di venire scoperta da gente come Paul McCartney.
Oppure riscoperte da lei…
È stato davvero interessante. Alcune canzoni hanno ormai più di 50 anni eppure non sembrano essere invecchiate di un giorno. Certo alcune sì, le primissime che ora suonano molto datate. Ma le altre, come Yesterday, chiaramente sopravviveranno molto più a lungo di noi. Quindi credo che continueranno ad esserci modi sempre nuovi di utilizzarle. Anche perché rappresentano ciò che è avvenuto nel paese dopo la guerra quando la gente ha scelto quella musica come modo di cambiare la società. La musica ha stravolto l’austerità del dopoguerra e quella società così rigidamente stratificata Da un giorno all’altro abbiamo scelto l’amore e l’espressione creative – la felicità, soprattutto fra i giovani – come contrappeso al vecchio, al militare, alla lealtà patriotica. In qualche modo la ricerca della pace attraverso la felicità. Credo sia questa in parte la ragione per cui l’Inghilterra ha prodotto così tanta buona musica pop.
Il suo primo ricordo dei Beatles?
Ho una sorella gemella e lei, come tutte aveva una cotta per Paul McCartney così che nei giochi a me toccava sempre di fare John Lennon. Poi c’era nostra sorella piccola, lei poteva fare George o Ringo, a piacere (ride). Era dura essere George or Ringo, che poi adesso invece le canzoni di George sono le più scaricate e ascoltate di tutte. Noi giocavamo di sopra mentre sotto i miei ascoltavano i 45 giri originali. . Come inglese di Manchester, che è a due passi da Liverpool, sono sempre state parte della nostra vita.
Ha mai sognato di diventare una rock star?
E chi non lo ha fatto? Quando sei un ragazzo e ascolti i Led Zeppelin è abbastanza inevitabile. Ora semmai penso a fare un musical, ho sempre voluto fare un vero musical, quelli dove la gente si ferma e canta, e forse ci stiamo avvicinando. L’altra mia vera passione è il calcio, temo di essere davvero ossessionato, da sempre. Senza musica e calcio non saprei davvero che fine avrei fatto. Senza musica in particolare non credo sia possibile sopravvivere. Conosco gente che non sopporta il calcio, ma davvero nessuno che non ami un qualche tipo di musica.
C’è una parte del film che riguarda John Lennon ….
Ricordo quando ho letto il copione e fino a quel punto mi stavo divertendo. E poi il tono è cambiato. D’improvviso mi sono sentito colpito e turbato – nel migliore dei sensi. Mi sono detto che è questo il potere del cinema, ciò che il cinema può ancora fare di unico anche oggi in mezzo a tutta questa televisione, quando tutti si domandando se potrà sopravvivere. Per me ciò che ha ancora di unico è come influisce sul tempo. Da cineasta puoi comprimere il tempo nel montaggio, lo puoi fermare e far ripartire. Lo diamo per scontato perché ci siamo cresciuti ma è questo che può fare il cinema, mentre nella televisione il tempo scorre senza fine, richiede fedeltà assoluta (l’anno scorso Boyle ha firmato Trust, la serie FX sul caso Getty, ndr). Un film invece è un contratto fra l’autore e lo spettatore che dura 90 minuti. Il contratto dice: se tu mi dai due ore del tuo tempo io terrò fede alla mia parte. Credo che in questo film quando appare John capisci davvero la forza del cinema quella di trasportarti per qualche minuto in un posto dove niente altro di può portare. In questo caso nella meravigliosa impossibilità in cui lui è ancora vivo.
Come è stato possibile ottenere i diritti di tutte quelle canzoni?
Molto complicato. La produzione è Working Title che oggi è la maggiore produzione britannica. Hanno stretto un accordo con Apple che detiene il controllo artistico ed estetico sull’uso della musica. Ad esempio non ti lascerebbero usarla su qualcosa di orribile, tipo uno spot elettorale di destra – o in realtà di qualunque partito. La Sony invece ha il controllo finanziario da quando hanno comprato il catalogo da Michael Jackson. Quindi hanno fatto un accordo con la Sony quando abbiamo iniziato dato che chiaramente senza quei diritti non avremmo potuto fare il film. Hanno ottenuto la licenza per 15-18 canzoni con diritto di replica all’interno del film stesso, ed abbiamo finito per usarle tutte. Per l aversione finale di Hey Jude invece abbiamo chiesto ed avuto il permesso direttamente da Paul.
Paul McCartney ha visto il film?
Lo abbiamo mandato a tutti ed abbiamo avuto in risposto una lettera molto carina di Ringo, davvero adorabile e poi una anche da Olivia, la vedova di Harrison. Da tutti abbiamo ricevuto l’Ok. Non che volessimo fare la versione ufficialmente approvata dai Beatles, ma chiaramente per rispetto non vuoi che disapprovino. Non sono certo che Paul abbia visto il film. So che ha visto il trailer e che gli è piaciuto. Ed ha anche approvato del titolo Yesterday, il nome della sua canzone.
Prima ha parlato di David Bowie…
Sì abbiamo un copione, una splendida sceneggiatura di Cotrell Boyce, che ha scritto un film che abbiamo fatto insieme qualche anno fa che si chiamava Millions, uno splendido piccolo family film. Ad ogni modo ha scritto una sceneggiatura su Bowie. Se avremo mai il permesso di girarlo, questo non lo so.
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