Nella narrativa per l’infanzia e negli albi illustrati la relazione con la natura è insegnamento, mistero e simbiosi. Da qualche secolo a questa parte.

Mettete un bambino in un bosco e avrete una fiaba, non c’è via di scampo. A partire da Cappuccetto Rosso, la favola per eccellenza, il bosco è il luogo dell’esperienza e dell’insegnamento, del perdersi e del ritrovarsi. Del coraggio di affrontare i pericoli da soli, per imparare a stare mano nella mano con lo spavento più grande, che poi è quello di crescere. Diventare grandi significa innanzi tutto sapere che siamo nelle nostre mani, che siamo soli eppure mai davvero lasciati a noi stessi. Perché esiste una natura generosa di insegnamenti e di metafore utili. Una sorta di universale libretto di istruzioni per stare al mondo.
Così i bambini nelle fiabe tradizionali si addentrano nei boschi da soli. O vi vengono abbandonati dai genitori. Che è senz’altro un modo per dire che a volte, anche se pare strano, è importante lasciare i bambini a se stessi, perché al centro del bosco troveranno qualcosa di importante, di fondamentale. Impareranno a riconoscere l’ombra, il pericolo, la malizia. E ne usciranno vittoriosi e forti, una volta appreso ciò che il bosco, come metafora e come luogo naturale, ha da trasmettere. Le fiabe, soprattutto quelle ambientate lontano ai luoghi abitati, sono quasi sempre crudeli, grottesche, terribilmente crude. Eppure è qui che i bambini diventano potenti: lontano dai grandi, lontano dalla civiltà. Come se l’essere bambini nella natura mettesse i piccoli e gli inermi in uno spazio di protezione e di forza, vicini come siamo alle stanze più segrete del nostro sapere innato.

Gli scrittori per bambini e ragazzi non hanno mai smesso di occuparsi di boschi e di alberi. Gli scrittori e gli illustratori contemporanei tornano continuamente alla natura e al bosco, per poter entrare agevolmente nella metafora, l’unica lingua che i ragazzi accettano di parlare con gli adulti.

E l’immersione nella natura è anche ottimo viatico per rendere un racconto trasversale, adatto a tutti, uno spazio di concreta condivisione dei fondamentali dell’esistenza. La natura è spavento ma è anche specchio di audacia e di risorse radicali, come in C’era una volta una bambina, versione odierna di Cappuccetto Rosso, di Giovanna Zoboli, edito da Topipittori. Oppure è protezione, come in Rifugi, di Emmanuelle Houdart (Edizioni Logos), un’autrice/illustratrice che degli elementi naturali ha fatto un manifesto di efficace lettura psicologica e di decodificazione del mistero e del nascosto. Gli alberi parlano la lingua degli dei nel libro La vita notturna degli alberi degli indiani Shyam, Bai e Urveti, di cui Salani ha editato una versione preziosa quanto i racconti che contiene. L’albero è sacro, in queste brevi didascalie mitologiche, ed è dimora del creatore e di ogni saggezza. È rifugio, maestro e padre. È sposo che cerca la sua sposa e celebra l’amore con profumi inebrianti. Un libro per lasciare che i bambini incontrino gli alberi come persone, come esseri con una carattere, una storia, una natura appunto. E per ritrovare nell’albero una mitologia che nella natura nasce e si conserva, amica eppure misteriosa. Questi ultimi anni sono stati generosi di novità editoriali dedicate alla relazione fra bambini e natura. La foresta di Riccardo Boni è la rappresentazione di una metafora delicata, che spiega la vita nel suo farsi sempre più complessa e intricata, come accade nel paesaggio. Un inizio rarefatto che si trasforma presto in un percorso sempre più ricco. Fino ad arrivare a una fine, oltre la quale non c’è altro che il mistero, alcuni dicono forse un «bosco di giovani pini», un nuovo inizio. E se questo albo è ideale per i bambini piccoli, per i ragazzi c’è un nuovo classico intitolato L’Albero, dello scrittore Shel Silverstein. In questo libro due vite, quella dell’albero e quella del bambino, cominciano insieme, in una somiglianza che è anche simbiosi. Poi l’allontanamento dell’uomo, che va alla ricerca di qualcosa, che segue un’inquietudine chiedendo sempre di più al paziente amico arboreo.

E finalmente, in fondo, un ritorno all’intimità con la ricerca di perdono, che è innanzi tutto perdono per se stessi e per la propria imperfetta umanità. Infine una segnalazione per giovani botanici: Vagabonde di Marianna Merisi. Un compendio dalle bellissime istruzioni, che costruisce una nomenclatura irrinunciabile a un genere poco amato: le erbacce.