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I 5 Stelle e la piazza, la «nuova fase» uguale alla precedente

I 5 Stelle e la piazza, la «nuova fase» uguale alla precedente

Manifestazioni addio I grillini hanno sempre evitato i cortei, preferendo eventi pensati per lo streaming

Pubblicato più di 7 anni faEdizione del 11 aprile 2017

«Non è più tempo di manifestazioni in piazza a carattere provocatorio, facili a sfogare nella violenza, è diventato il tempo di disegnare il nostro futuro, per questo siamo qui». Sono bastate queste parole diffuse dal blog di Beppe Grillo all’indomani della convention «Sum» di Ivrea per far dire ad osservatori e analisti che il Movimento 5 Stelle cambia pelle, e che nella nuova fase indicata dalla kermesse in memoria di Gianroberto Casaleggio c’è più spazio per il profilo istituzionale che per quello protestatario.

Ma ad osservare bene la storia del grillismo, questa presunta «nuova fase» assomiglia molto a quella precedente. Perché il Movimento 5 Stelle in questi anni ha chirurgicamente dribblato i cortei, limitandosi a usare le piazze come location per il proprio format ben rodato: i portavoce sul palco, il pubblico in basso, a fare da contorno di un evento pensato per essere trasmesso via streaming e trasformare il monitor del computer in un televisore digitale, che ha poco di interattivo e orizzontale.

Le prove generali furono i VaffaDay, dal 2007 in poi: adunate costruite attorno ai monologhi di Grillo. Attorno al suo palco andò componendosi un popolo che aveva subito il trauma della più grande violazione di diritti civili in un paese occidentale dalla fine della seconda guerra, secondo la nota definizione che dei fatti del luglio genovese ha dato Amnesty International. Poi venne il moto generazione dell’Onda studentesca: anch’esso si scontrò contro il muro di gomma della politica. Fino al clamoroso dietrofront consumatosi davanti a Montecitorio, all’epoca della seconda elezione di Napolitano, quando nel giro di poche ore i grillini ebbero paura di andare oltre loro stessi: mentre altri movimenti iniziavano a presentarsi davanti al parlamento, ripiegarono le bandiere pentastellate e se ne tornarono dentro al Parlamento.

Adesso Grillo teorizza che si debba fare a meno del conflitto, ma in più occasioni lui e i suoi hanno detto che solo loro riescono a «tenere buona» la gente. Il senatore Nicola Morra l’altro giorno, facendo l’esegesi del post del leader, ha annunciato addirittura che «grazie al M5S non c’è e non ci potrà essere la stella a 5 punte».

Più prosaicamente, dire che non è tempo di piazza significa intendere che il M5S non ha bisogno di spazi pubblici di discussione o luoghi di confronto, come si evince dalle difficoltose interlocuzioni tra movimenti e amministrazioni locali pentastellate. Grillo prende spunto dal G8 del 2001 e sa di cosa parla: in quegli anni aveva flirtato con molti dei contenuti altermondialisti accompagnandosi spesso con padre Alex Zanotelli. Espungere l’immaginario delle proteste di piazza vuol dire agitare il trauma genovese o ricordare le brucianti sconfitte degli anni successivi. Aderire e soprattutto votare il M5S, nella stragrande maggioranza dei casi, ha voluto dire fin dall’inizio investire su un progetto che prevedesse pochi pericoli e il massimo del risultato: scontro frontale, o la «gente» o la «politica». Ma questa volta col minimo rischio.

Ecco perché ad applaudire agli eventi di Grillo e Di Battista oggi ci sono soprattutto persone di mezz’età: attorno alle transenne che dividono gli elettori dai comizianti c’è un popolo che, almeno dal punto di vista anagrafico, ricorda più la generazione televisiva e analogica che quella digitale che è venuta dopo. I giovani che pure in larghissima parte votano M5S disertano quasi sempre questo tipo di appuntamenti perché hanno introiettato alla perfezione il messaggio che Grillo manda da anni e che ha reso soltanto più esplicito l’altro giorno: tutti a casa, ci pensiamo noi.

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