Alias Domenica

Howard, matrimonio su sfondo mobile

Howard, matrimonio su sfondo mobileJoel Meyerowitz, New York City, 1963

Narrativa inglese Trasformare un canovaccio ordinario in una discesa inaspettata nel cuore umano... "The Sea Change", 1959, terzo romanzo di Elizabeth Jane Howard, in traduzione da Fazi: "Cambio di rotta"

Pubblicato quasi 6 anni faEdizione del 20 gennaio 2019

Quello che avrebbe molto voluto era invecchiare da sposata. Sarebbe stato anzi meraviglioso per Elizabeth Jane Howard morire sposata con qualcuno che conosceva da anni. «Provo invidia per chiunque abbia un lungo matrimonio felice», disse con temerario candore a una giornalista che era andata a intervistarla a Bungay, nel cottage dipinto di azzurro in cui viveva con un badante e due pomerania. Era la fine di novembre del 2013, lei in marzo aveva compiuto novant’anni e da vivere non le restavano ormai che un paio di mesi. In libreria si poteva trovare da pochi giorni il quinto volume dei Cazalet, la saga di ispirazione autobiografica che aveva iniziato a pubblicare nel 1990 e che le aveva dato fama e successo dopo un lungo periodo di oscurità. Vent’anni prima, seduta nella stessa stanza per parlare con un’altra giornalista di un diverso volume dei Cazalet, si era soffermata a lungo sulla propria solitudine prendendo su di sé ogni colpa perché, diceva, aveva fatto molti errori e rovinato molti rapporti. «Si paga sempre tutto nella vita», aveva aggiunto amara.
Una grande casa a Notting Hill
Di matrimoni in particolare Elizabeth Jane Howard ne aveva chiusi tre. Figlia di un facoltoso commerciante di legname e di una danzatrice dei Balletti Russi la cui carriera si era interrotta con le nozze, disamata dalla madre rancorosa e abusata dal padre ‘sciupafemmine’, cresciuta in una grande casa di Notting Hill senza un’istruzione regolare, il primo marito lo aveva sposato a diciannove anni. Lui ne aveva quattordici di più, apparteneva a una famiglia conosciuta e si era arruolato in marina. Nessuno prima di allora l’aveva mai fatta sentire degna di attenzione e questa le sembrò un’attrattiva sufficiente. Del resto, benché per qualche tempo avesse recitato in teatro, non sapeva nel modo più assoluto cosa fare di se stessa. Dieci mesi dopo nacque l’unica figlia. Li lasciò entrambi nel 1946, portando con sé una valigia e dieci sterline, perché voleva diventare una scrittrice. Sbarcava il lunario facendo la segretaria, l’annunciatrice radiofonica, la modella per «Vogue». Il suo romanzo d’esordio, The beautiful Visit, uscì nel 1950 vincendo il premio John Llewllyn Rhys e catapultandola nello scapestrato ambiente letterario londinese.
Sposò il secondo marito, un australiano, perché era bello, elegante, gentile. Soprattutto perché non ne poteva più di collezionare storie sbagliate e frequentare maschi, tra questi il suo editore, che volevano portarla a letto dopo nemmeno un martini. Era il 1959, tre anni prima aveva pubblicato lo straordinario Il lungo sguardo, storia di una delusione coniugale ripercorsa a ritroso e notevolmente apprezzata dalla critica. Peccato che a deludere lei sarebbe stato presto il bel faccendiere australiano, rivelatosi un incallito truffatore. Quando conobbe lo scrittore Kingsley Amis, a Cheltenham durante il festival letterario del 1962, è probabile che Elizabeth Jane Howard pensasse di non essere più così insicura e assetata di affetto, così incapace di valutare le proprie qualità. Si sentiva ormai in grado di scegliere l’uomo giusto per sé e pensò che questa volta il matrimonio sarebbe durato. Diventarono la coppia più glamour della swinging London letteraria, lei lo aiutò a crescere i tre maschi avuti dalla prima moglie, si occupava della grande casa georgiana di High Barnet e degli amici che ospitavano spesso. Scappò nel 1980 perché lui beveva troppo e non la amava abbastanza. Amis non la perdonò, né volle mai rivederla.
Nei diciotto anni passati insieme Howard firmò tre romanzi e una raccolta di racconti. Sembra però che Amis di lei non avesse letto per intero che un libro, The Sea Change. Lo aveva letto in due giorni, sulla spiaggia, durante una vacanza in Spagna. Dal loro incontro erano trascorsi pochi mesi. «Mi aveva chiesto lui di portarlo e io mi sentivo insieme spaventata e felice. In quei due giorni non pronunciò una parola e io non trovai il coraggio di chiedergli come andava. La seconda sera chiuse il libro e disse: “È un ottimo romanzo. Sono così sollevato. Temevo che tu non fossi affatto capace. È davvero buono, mia cara”», racconterà lei nel volume di memorie Slipstream (2002). Scritto tra il 1957 e il 1958, uscito nel ’59, il terzo romanzo di Elizabeth Jane Howard narra come già Il lungo sguardo, come il successivo All’ombra di Julius (’65), la difficoltà di amare e il bisogno di essere amati, esplorando insieme le delicate complicità, le sottili reticenze, le oscure frustrazioni su cui si costruisce un matrimonio. Il titolo sembra evocare la Tempesta shakespeariana; del resto la vicenda è almeno in parte ambientata sull’isola di Idra e mette in scena oltre ai quattro protagonisti, tutti inglesi, un ragazzino greco che molto somiglia al folletto Ariel. Anche il lettore italiano, grazie alla traduzione firmata adesso per Fazi da Manuela Francescon e meno icasticamente intitolata Cambio di rotta («Le strade», pp. 430, € 18, 50), potrà valutare quanta superficialità e quanta arroganza, quanto ottuso paternalismo nasconda il giudizio pronunciato a suo tempo da Kingsley Amis.
Taxi, aerei, autobus, navi, traghetti
È straordinaria la capacità che ha Elizabeth Jane Howard di trasformare una situazione banale, un canovaccio ordinario, in una discesa avventurosa e inaspettata nella profondità del cuore umano. Dalle sue storie, in apparenza così frivole, emergiamo con un’esperienza più acuminata, allo stesso tempo più tonica e più fresca della realtà. Che novità potranno raccontarci un famoso drammaturgo in crisi di ispirazione, la sua bella moglie molto tradita e molto chic, il suo assistente fedele al punto da diventarne l’ombra, la sua giovane segretaria arrivata per caso a Londra da un’antiquata canonica del Devon? Sullo sfondo mobile di taxi, aerei, autobus, navi, traghetti Howard incrocia le traiettorie delle loro esistenze spingendoli verso una direzione, un punto fermo o una casa, che non troveranno né a Londra né in Grecia né a New York, ma in fondo alla propria coscienza. «La vita, dal punto di vista di chi la vive, è come un enorme tappeto incompiuto, con tanti fili che escono da tutte le parti: alcuni li filano così da allungarli un po’, altri li tessono. Solo alcuni riescono a fare entrambe le cose: in questo modo il disegno del tappeto si allarga, si arricchisce», riflette nel romanzo la ragazza Alberta che legge allusivamente Jane Austen e George Eliot.
Scegliendo una partitura a voci alterne, per cui la narrazione converge da quattro punti diversi di osservazione, intrecciando una rete ferrea di iterazioni e di richiami, ancorando con millimetrica esattezza gli eventi esteriori alle loro ripercussioni psichiche, Howard costruisce un romanzo in cui il matrimonio diventa una potente metafora del tempo, della memoria e della delusione che il tempo infligge alla memoria. Anche della speranza che nel tempo la memoria sospinga ogni destino verso una trasformazione. La pagina levigata e brillante è increspata da sobbalzi, echi sotterranei, brividi: i colpi di scena inattesi non mancano, né il lieto fine sembra poi così scontato. Difficile immaginare se Emanuel scriverà un’altra commedia o si separerà da Lilian, se Lilian potrà avere un altro figlio, se Jimmy scoprirà quali sono le sue origini e se Alberta accetterà di sposarlo. Tuttavia nessuno di loro resterà lo stesso. «Non potrai mai cancellare quello che hai fatto di sbagliato, ma potrai almeno smettere di farlo. Io credo nel cambiamento», dirà ancora la scrittrice pochi mesi prima di morire. Né stava parlando solo dei suoi matrimoni o di sé.

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