L’autore Howard Chaykin

«Resistente»: ecco l’aggettivo ideale per sintetizzare l’avventura a fumetti di Howard Chaykin. Classe 1950, da Newark, New Jersey, lo sceneggiatore e disegnatore statunitense condivide con illustri concittadini come Jerry Lewis, Queen Latifah e Paul Simon la vocazione a rompere gli schemi. A dimostrarlo, un filotto di opere a fumetti molto lontane dal tipico e consolatorio milieu super-eroistico a stelle e strisce. La sua ultima fatica The Divided State of Hysteria è una satira che per visionarietà, irriverenza e sfacciataggine rivaleggia con il miglior Chuck Palahniuk. E che Saldapress porta in Italia a valle delle polemiche scatenate in patria per la rappresentazione di minoranze quali neri, ebrei e Lgbtq+. Sono bastate poche tavole e un paio di copertine arrivate on line in anteprima per scatenare i pasdaran del politicamente corretto: una prostituta trans, un burqa a stelle e strisce e un nero linciato sono indubbiamente immagini «off» per il pubblico Usa. Ma come in una metanarrazione, i detrattori di Chaykin l’hanno ferocemente attaccato a prescindere, senza considerare il merito delle provocazioni, l’evoluzione dei personaggi nella storia e la maestria dell’autore. Che, di suo, non arretra di un millimetro. «La mia ultima serie è arrivata sugli scaffali in concomitanza con l’affermazione nel ‘mainstream’ di una cultura vittimista oggi in voga. Una cultura che considera super-eroi e fantascienza come il top, un’orda di pensatori d’accatto schiavi di un modulo narrativo che è un nastro di Moebius di inseguimenti tra Wyle E. Coyote e Beep-Beep, niente di concluso né di umanamente credibile», attacca Chaykin.Le zone d’ombra dell’animo umano, gli scontri razziali, Trump e Biden al centro delle 160 pagine

MA «LA PRESUNZIONE secondo cui sentirsi offesi da qualsiasi persona o provocazione comporti un ingresso gratis verso un’etica superiore è una assurdità totale». Continua l’autore: «Essere giudicato in crisi creativa da una folla tanto paternalista da scambiare una calzamaglia nuova o un logo sui pettorali per sviluppo narrativo è ridicolo, nonostante il danno che questo arreca alla mia reputazione e alla mia storia autoriale». Benvenuti a Chaykinland, reame fatato dove l’unico elemento di novità rispetto a un immaginario costruito in oltre 30 anni di giochi (erotici) di potere, tecnologia al gelo e complottismo, per dirla con l’autore, è «La disperazione esistenziale». E sì che all’inizio degli Anni ’70 l’allora giovanissimo fumettista sembrava avere le stimmate del “wonder boy”. Un’intensa gavetta al fianco di autori sulla cresta dell’onda come Gil Kane, Neal Adams, Gray Morrow e Wallace Wood, con cui debutta come disegnatore su Secret Of The Sinister House #17, lo convince «a scrivere le mie storie da solo: nessuno di questi grandi artisti cui devo la mia carriera ha mai scritto alcunché di trascendentale». Come vicini di pianerottolo ha altri emergenti come Walter Simonson e Allen Milgrom, promesse del ‘Comic Book’ cui lo legano «Interessi comuni, e un’amicizia destinata a durare per la vita».Oggi la cultura mainstream considera super-eroi e fantascienza come il top, è schiava di un modulo narrativo poco credibile (Howard Chaykin)

NEL 1976, l’occasione della svolta, i disegni della prima serie a fumetti ispirata a Star Wars. Per chiunque, sarebbe la consacrazione. Ma non per un bastian contrario come Chaykin. «Detestavo quel pastiche vampiresco di idiozie con cui ero cresciuto, e che poi ho superato. Non immaginavo che sarebbe stato il primo testo sacro di una vera e propria religione secolarizzata», specifica il cartoonist. «Forse, se l’avessi intuito, avrei fatto un lavoro migliore, anche se non garantisco. Star Wars ha letteralmente salvato la Marvel, nonostante Stan Lee si fosse convinto a pubblicare il fumetto nonostante le sue enormi obiezioni. Ma considerando i milioni di copie vendute dell’adattamento, tutto quello che ho portato a casa personalmente sono stati la mia solita tariffa e un compenso forfettario di 15 dollari a pagina come pagamento per ogni ristampa successiva. Se è stato un successo, non ha mai riguardato me». Una manciata di numeri, e Chaykin abbandona le scene per due anni. «Dopo un diverbio con un editor di una importante casa editrice, ho passato gli anni successivi a illustrare copertine, finché la First Comics non mi ha fatto l’offerta che mi ha cambiato la vita». Cioè, il primo vero comic book revisionista.

«AMERICAN FLAGG» è un eroe postmoderno e crepuscolare, metà sceriffo futuribile, metà celebrità tv, amante del jazz e del sesso. Un personaggio in anticipo sui tempi. Forse anche troppo, per un pubblico dai gusti di grana grossa come quello cresciuto sui fumetti di Superman, Spider-Man & C. Ma per il quarantenne sceneggiatore e artista di Newark, la resa non è un’opzione. «Perché il sesso, il potere e le zone d’ombra dell’animo umano costituiscono «il fulcro dell’esperienza umana, al contrario delle fantasie adolescenziali della maggior parte delle testate ‘mainstream’. Preferisco approfondire quegli spunti che rimuginare su cosa farebbe un bambino-bene di otto anni dopo una giornata no, o su qual è il superpotere più fico per far parte degli X-Men». La definitiva consacrazione arriva con le serie di culto realizzate dopo American Flagg!, Time² e soprattutto Black Kiss. E siccome non si vive di solo fumetto ‘indie’, anche salutari ‘marchette’ per le major e la tv. «Ho lavorato su serie televisive commerciali che non avrei mai guardato in vita mia. Una commessa, ci tengo a dirlo, alla quale sono assai grato. Gli anni che ho investito su quegli orripilanti serial mi hanno garantito il mio tenore di vita attuale, visto che non sono mai riuscito ad arricchirmi con il fumetto mainstream. I fumetti servono a occupare spazio. La televisione serve a occupare tempo».

E FINALMENTE, oggi, si torna a bomba con The Divided States of Hysteria, 4 capitoli e 160 pagine che aggiornano all’America di Trump e Biden tutti i temi cari a Chaykin. Fumettista fumantino, ma ancora non pacificato. Perché oltre ogni controversia resta «l’enorme piacere con cui ogni mattina mi siedo alla mia postazione da lavoro sapendo che il fumetto, pur non coinvolgendomi come consumatore, mi offre comunque l’opportunità di affrontare nuove sfide grafiche e narrative, la mia costante urgenza di creare vignette, tavole, pagine e volumi dotati di peso narrativo. Design grafico al servizio della narrazione: questo è ciò che sono in definitiva i fumetti, e questo rimane un piacere e un onore da affrontare ogni fottuto giorno». Con rabbia, s’intende.