Hot Yoga, very hot yoga a Berlino
Moscow Mule Tappetino da monade triste, trenta gradi all'ombra...
Moscow Mule Tappetino da monade triste, trenta gradi all'ombra...
Il tappetino gommoso arrotolato penzola da una spalla. La coreografia è già chiara: stiamo andando in branco ma separati come monadi tristi del sabato mattina berlinese a qualche lezione di Pilates o Hot Yoga. In sostanza: il corpo assume posizioni in equilibrio, in tensione o rilassate, dipende dai frangenti, alla temperatura, nel caso di Hot Yoga, di almeno 30 gradi. È preferibile bere in momenti specifici, comunicati dall’insegnante evitando la morte per disidratazione. La sala è areata in altrettanti specifici momenti, da ventilatori al soffitto stile bettola sul Mekong.
Nel frattempo, tu sudi come una porchetta in calzoncini. Scivolano le mani su polpacci e sui piedi, grondi sul tappetino gommoso, guardi gli altri incartarsi mentre in affanno arranchi come una vecchia zia sulle scale. In realtà, gli altri non sono neppure l’inferno; ci si scambia occhiate di cortesia, sorrisi gentili, a volte si tracima nell’astio se qualcuno ha occupato immeritamente l’angolo preferito del veterano.
Siamo lì, a modellare la muscolatura, stirare le ossa e la fraternità è secondaria, essa compare in fugacissimi tratti nella catarsi finale dello spogliatoio. Uno scambio di aforismi sullo stress della vita post-moderna, sul disagio del cambiamento climatico. Noi che paghiamo 100 euro al mese per stare chiusi in una stanza appositamente surriscaldata. Chiedo all’insegnante come fare per risolvere una annosa infiammazione lombare, se questa disciplina può darmi davvero sollievo. «Certo, può aiutarti venire qua, ma non faccio l’ortopedico».
Una discepola interviene gettandosi a terra e portandosi la gambe al petto: «Devi fare così, più volte al giorno. Vedrai che ti passa». Ah, vabbè, era stretching, fin là ci arrivavo anch’io. Mentre mi allaccio le scarpe verso l’uscita una ragazza italoamericana con una Sicilia al collo in medaglietta dorata e stilizzata attacca bottone. Oddio, le origini, la mozzarella, il sole. Ma che coglioni. Mi parla di sé, della sua fuga dagli Stati Uniti, a me interessa solo la sua flessibilità, quanto ci vuole per piegarsi con la schiena in quel modo. «Pratica, solo quello. A me piace tanto parlare italiano. Penso di essere borderline». Cerco invano il nesso tra lingua e malattia: o ti prendono per il culo o ti adorano all’eccesso, cosa cambia?
Non è la prima volta che mi avvicino a Hot Yoga. Anni fa, sempre a Berlino, mi avventurai in un altro studio in compagnia di due italiane, ormai perse di vista, dissolte nei mutamenti storici e personali. Ricordo il cesto delle mele a fine sessione, un lusso oramai abbattuto dall’inflazione, ma soprattutto, l’equilibrio che cercavo annaspando nel sudore allora come oggi.
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