All’inizio c’è il mappamondo infuocato di Mona Hatoum, che accende il pianeta in una allerta luminosa, prima che incenerisca e si accartocci su se stesso. È quella scultura minacciosa, di rara potenza emotiva, a dare il titolo alla mostra Hot spot – Caring for a burning world, a cura di Gerardo Mosquera, appena inauguratasi alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea di Roma, in una settimana che vede la capitale pullulare di eventi e uno sbocciare di rassegne in musei, istituzioni e presso gli studi (aperti) degli artisti, in occasione di Raw, la settimana dedicata alle novità della scena contemporanea, da «assaggiare» gironzolando per la città.
L’esposizione – visitabile fino al 26 febbraio 2023 – mette al centro del suo discorso visivo il trauma ecologico che stiamo attraversando insieme alle altre specie viventi e inchioda il suo pubblico a un presente di inquietudine, intrecciandolo a improvvisi scorci poetici. Lo fa a partire dalla scalinata esterna della Galleria, dove alcuni gorilla (le sculture sono di Davide Rivalta), specie in estinzione per la tracotanza umana, figurano come personificazioni del memento mori, imponenti sentinelle di un futuro che si avvicina.

Ida Applebroog, «Yellow finch», 2018

Per amare la Terra (e gli oceani e le galassie) bisogna saperne cogliere le consonanze segrete, lasciando evaporare il delirio antropocentrico. Come insegna la brasiliana Sandra Cinto, dipingendo direttamente a parete le sue Notti di speranza (un’opera site specific). Su un muro nero che inghiotte lo sguardo – un abisso marino o un punto indefinito dell’universo – fluttuano, simili a meduse, filamenti di desideri collettivi, cosmici. L’artista ha voluto riproporre (in forma di sogni che si aggregano suggerendo inedite «comunità») quelle correnti create dai vapori acquei – i fiumi volanti – che migrando in aria, fuori dagli argini, portano acqua e vita, fecondando il Brasile che altrimenti sarebbe diventato solo un arido deserto.

Johanna Calle, Perímetros (Nogal Andino), 2014

Se il fiume torna nel video del duo Ibeyi come divinità femminile che sconfigge la morte, cantilenando in un’immersione purificatrice, anche gli alberi sono i grandi protagonisti di Hot Spot. Cecylia Malik da anni racconta il drammatico disboscamento della Polonia. Nel 2008, per 365 giorni si è arrampicata su un albero diverso di Cracovia, registrando l’azione con uno scatto fotografico («poi mi dirigevo al lavoro, con la camicetta piena di aghi di pino e pezzi di corteccia»). Dieci anni dopo, la metà di quelle piante non esisteva più. Nella rassegna romana, ha riconsegnato un po’ di linfa vitale a una serie di tronchi recisi con le immagini di madri che, sedute sui resti della foresta, allattano i loro figli.

La possibilità di una rinascita salvifica è invece affidata da Glenda Léon a coloro che sapranno ascoltare la musica dell’universo: è una forma di resistenza esplicita quel «suonare le corde» delle costellazioni o veder fiorire un pianoforte.
Sono 27 gli artisti riuniti in questa eccentrica mostra, fra ultime generazioni e maestri come Pistoletto o Baldessari: tentano tutti di riconnettersi alla natura, in un contrasto netto con il mondo «costruito» e l’urbanizzazione selvaggia.