La notizia è arrivata mercoledì in serata ed è immediatamente rimbalzata a Los Angeles dove il settore audiovisivo è rimasto paralizzato per oltre sei mesi, prima dallo sciopero degli sceneggiatori e poi da quello degli attori. Gli 11mila iscritti al sindacato degli scrittori Wga hanno ratificato un nuovo contratto a fine settembre al termine di uno stop di 148 giorni. Ieri, dopo 118 giorni di picchetti, anche Sag-Aftra, il sindacato che rappresenta 14 mila attori di cinema e tv ha annunciato un «accordo di massima» che permetterà di rimettere in moto la macchina produttiva di Hollywood dopo una delle vertenze più lunghe e contenziose della sua storia.

L’ACCORDO è giunto al termine di negoziati fiume dopo che l’associazione di studios e piattaforme streaming (Amptp) aveva presentato quella che aveva definito l’ultima e definitiva offerta, proposta accettata dal sindacato pochi minuti appena prima della scadenza imposta. Non sono ancora noti i termini specifici del contratto, che verrà valutato oggi dal direttivo del sindacato prima di essere sottoposto alla ratifica dei membri la prossima settimana. La Amptp lo ha tuttavia definito «un nuovo paradigma» che contiene «i maggiori miglioramenti contrattuali nella storia del sindacato, compreso il maggior aumento dei minimi sindacali in 40 anni e maggiori diritti d’autore per serie in streaming». Secondo Sag l’accordo contiene benefici dal valore di più di un miliardo di dollari
Secondo Sag l’accordo contiene benefici «del valore di un miliardo di dollari» e prevede aumento dei compensi, migliore trattamento pensionistico e previdenziale, bonus sullo streaming e limiti all’utilizzo dell’intelligenza artificiale, una questione, quest’ultima, particolarmente spinosa. Nel caso degli attori, si riferisce soprattutto a «personaggi di sintesi» e l’uso di computer per affiancare o modificare performance umane, nelle fattezze o nella voce. La pratica è già dilagante come dimostrano i casi di attori ritrovatisi protagonisti di videogiochi a propria insaputa o, ugualmente senza consenso, si sono visti «alterati» in post produzione (celebre a Hollywood il caso di una lacrima «sintetica» aggiunta al volto di Keanu Reeves). Le modalità di impiego dell’intelligenza artificiale e dei «sistemi generativi» dovrebbe ora essere regolata e sottoposta all’approvazione degli interessati. Come ha notato Variety, le vertenze di Hollywood avranno avuto il merito per prime di inquadrare le problematiche creative e di copyright destinate a caratterizzare sempre di più il mondo del lavoro creativo.

NEGLI ULTIMI MESI, Fran Drescher, attrice nota come interprete della sitcom The Nanny (La Tata) e presidente del sindacato, ha inoltre inquadrato a vertenza come una battaglia esistenziale per la qualità della vita dei lavoratori dello spettacolo ed una «compartecipazione» nella produzione creativa, invece del modello industriale che – anche nel comparto dell’intrattenimento – ha prodotto enorme diseguaglianza. Secondo un’analisi del Los Angeles Times, negli ultimi cinque anni Rupert Murdoch, capo della Fox, ha guadagnato 174 milioni di dollari, Ted Sarandos (Netflix) 192 milioni, Bob Iger (Disney) 195 milioni e David Zaslav (Warner Bros/Discovery) 498 milioni di dollari. Allo stesso tempo (a parte le star) la grande maggioranza dei creativi lavorano in regime di precarietà ed incertezza sempre più simile alla gig economy di Silicon Valley.

LA VERTENZA rientrata permetterà di riprendere presto le produzioni e salvare il calendario delle uscite cinematografiche della prossima estate. Lo sciopero potrebbe comunque lasciare uno strascico di amarezza. Al vetriolo, ad esempio, il commento del Los Angeles Times che attraverso la penna di Mary McNamara, imputa ai dirigenti degli studios la responsabilità di una evitabile paralisi di sei mesi costata 6 miliardi di dollari all’indotto economico solo in California, e la carriera a molte maestranze, che hanno dovuto trovare sostegno altrove. L’effetto, secondo il Times, sarà stato di aver mostrato il «vero» ingranaggio che sta dietro la «magia» del cinema, di aver rivelato, scrive McNamara, «che la fabbrica dei sogni è alla fine solo una fabbrica».

SULLO SFONDO c’è un’incertezza strutturale. L’evoluzione dello streaming che ha portato alla «età dell’oro della televisione» (599 serie prodotte nel 2022) difficilmente sembra sostenibile. Dopo la sbornia, l’eccesso di competizione fra piattaforme, per un numero non illimitato di abbonati, porterà ora verosimilmente ad una contrazione delle produzioni (anche per compensare le concessioni ai sindacati). Per far fronte ai costi maggiorati inoltre, gli studios digitali stanno già reintroducendo modelli di finanziamento pubblicitario (o abbonamenti premium per evitare gli spot). L’offerta tende insomma ad assomigliare più al vecchio modello televisivo e via cavo che agli infiniti menu on-demand cui siamo stati abituati. Con inevitabili aumenti dei costi per gli utenti.