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Hirshhorn, la capsula spaziale Lascaux III

Hirshhorn, la capsula spaziale Lascaux III

Cristalli liquidi L’autore è l’allora quarantenne Thomas Hirshhorn, e gli elementi che caratterizzeranno la sua estetica del riciclo per i successivi venticinque anni sono qui riuniti

Pubblicato circa un anno faEdizione del 2 luglio 2023

Un’armatura di travi di legno ricoperta di plastica trasparente, lunga 5,50 m, larga 4 e alta 2,50. Grazie alla sua forma a U, lo spettatore deambula al suo interno tra stalagmiti e stalattiti in alluminio, pannelli di diverse dimensioni con immagini stampate estratte da libri economici e da riviste. Sono divisi per temi, alcuni artistici (opere di Dalí, Mathieu, Friedrich, Hopper, paesaggi), altri no (moto, balene, attualità, Snoopy, Albania). Su uno schermo passano pubblicità e un video di animali selvaggi. Tutto è di plastica, legno, alluminio, tubi fluorescenti, adesivo, cartone, carta, penne, tavoli, cavalletti in legno o metallo, sacchi della spazzatura, lenzuola. La luce fredda del neon e i riflessi argentati dell’alluminio rendono tale conglomerato ancora più straniante.

L’autore è l’allora quarantenne Thomas Hirshhorn, e gli elementi che caratterizzeranno la sua estetica del riciclo per i successivi venticinque anni sono qui riuniti. A fine aprile 1997, cinque anni prima la sua partecipazione alla Documenta 11 di Kassel con Bataille Monument, Hirshhorn è invitato a una residenza a Bordeaux organizzata dalla FRAC-Collection Aquitaine (dove l’opera è conservata). Assieme agli studenti della locale Accademia di Belle arti, che partecipa al progetto, monta e smonta Lascaux III in quattro luoghi diversi: uno conviviale come un bar (in realtà un Burger King dove lavora uno studente), un luogo pubblico (davanti la chiesa Saint-Michel), un luogo privato come un appartamento, un luogo di passaggio (il centro commerciale di Mériadeck). Lascaux III sfugge così alla logica dell’in situ: si adatta al luogo in cui viene installata ma non è concepita per alcuno spazio specifico. Questo vale anche quando, nel novembre 2002 (l’anno della partecipazione alla Documenta), Hirshhorn espone Cavemanman alla Gladstone Gallery di New York. Il riferimento va sempre alle grotte preistoriche e all’uomo delle caverne: immagini di Lascaux – o meglio del facsimile, al centro di un lavoro recente di Hito Steyerl – passano sullo schermo di un televisore. Cosa trova di attraente un graphic designer di formazione quale Hirshhorn in questo immemoriale universo troglodita?

In una lettera programmatica del 7 febbraio 1997, così descrive Lascaux III: «una capsula spaziale, un satellite autonomo o una maquette penetrabile, un dispositivo nuovo». Se non ha ancora in mente la forma finale che prenderà, sa che sarà penetrabile, che avrà un interno ma che non nasconderà alcun segreto: «non ci sarà spettacolo né sorpresa all’interno. Solo la fredda proposta di una vita interna che non sarà interattiva o fisica. Si tratterà semplicemente di una sorta di showroom penetrabile». Il titolo tradisce tuttavia un riferimento storico che nobilita questa costruzione effimera, mettendola a confronto con quanto di più duraturo offre la storia delle immagini: l’arte del Paleolitico superiore.

Anacronistico è anche l’uso che Hirshhorn fa di «scultura» o di «display», che preferisce al più diffuso «installazione» per definire un’opera tridimensionale senza percorso predefinito, dove non regna alcuna gerarchia tra oggetti che sembrano collocati alla rinfusa. Le loro associazioni restano misteriose per i visitatori quanto gli affreschi di una grotta preistorica (che hanno da dirsi Snoopy e Hopper, di grazia?), ma il disorientamento non è totale: lo spazio mantiene una scala umana.
Lascaux III offre una forma di archeologia contemporanea che dialoga con gli spazi fabbricati, come i sistemi di gallerie in Svizzera ricordati da Hirshhorn. È una grotta non contenuta in una galleria, come sarà il caso di New York, uno spazio in divenire, indefinito e lontano dal readymade, che siamo invitati a esplorare facendoci speleologi piuttosto che spettatori disinteressati. Un anti-monumento «fuori dal tempo, dallo spazio e dalla storia» – ma nel cuore della Gironda.

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