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Dopo Hiroshima la minaccia resta ancora atomica, altro che green

Dopo Hiroshima la minaccia  resta ancora atomica, altro che greenHiroshima, agosto 2021 – Ap

Giappone La ricorrenza è l'occasione per esercitare la più forte pressione sul governo perché firmi e ratifichi il Trattato di Probizione delle armi nucleari in vigore dal 22 gennaio 2021

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 6 agosto 2021

Il 6 agosto di 76 anni fa alle 8,15 del mattino la prima bomba atomica sul Giappone inceneriva all’istante la città di Hiroshima e 140 mila dei suoi abitanti, 3 giorni dopo la stessa sorte toccò a Nagasaki (un totale di più di 300 mila vittime, per le conseguenze successive). Poi ebbe inizio la guerra fredda con la folle corsa agli armamenti, che portò gli arsenali nucleari di Usa e Urss verso il 1985 al numero demenziale di 70.000 testate.

Anche se non vi è stata una guerra nucleare (a dispetto di numerosi falsi allarmi sventati solo dal sangue freddo di alcuni ufficiali), ben 2056 test nucleari (dei quali 516 in atmosfera) hanno provocato una scia di malattie tumorali (la compianta scienziata Rosale Bertell valutò più di un miliardo di vittime dirette o indirette dell’Era nucleare) e danni incalcolabili all’ambiente: recentemente si moltiplicano richieste di risarcimenti dalle popolazioni vittime dei test nel Pacifico e nel Sahara. Senza contare i minatori delle miniere di uranio, tutti appartenenti a popolazioni emarginate o povere, i quali hanno contratto un numero enorme tumori ai polmoni (il popolo Navajo ha proclamato il giorno del ricordo e dell’azione il 16 luglio, data del Trinity Test).

Oggi di fronte all’insostenibile aggravamento della crisi climatica, e con l’occasione della pioggia di miliardi per risollevarsi dalle conseguenze della pandemia, si invoca ovunque una radicale svolta green, chiamata addirittura rivoluzione per denotare il cambiamento irreversibile (pur con tutti i dubbi sulla genuina natura green): ma se questa fosse la vera intenzione, non deve essere l’occasione per eliminare definitivamente dalla faccia della Terra la minaccia più grave, immediata che incombe sull’umanità, le armi nucleari?

Sui progetti, le modalità e gli esiti della sedicente svolta green infuriano le polemiche, ma una decisione di eliminare per sempre le armi nucleari non ammette incertezze, dubbi o riserve: va presa e basta!
Certamente questa affermazione suona semplicistica. Non possiamo nasconderci i colossali interessi geostrategici che stanno dietro gli arsenali nucleari, ma anche quelli economici per i miliardari programmi di modernizzazione o di realizzazione di nuovi sistemi d’arma nucleari nei quali sono coinvolte le grandi corporations delle produzioni belliche. Ma oggi più che mai a favore della loro eliminazione giocano fattori decisivi.

Partiamo dalla principale novità positiva. Il 22 gennaio di quest’anno è entrato in vigore il Trattato di Proibizione della armi nucleari (Tpan), che era stato approvato il 7 giugno 2017 al termine dei negoziati svoltisi alle Nazioni Unite, con la partecipazione dei rappresentanti della società civile (anche questa una novità assoluta) della Campagna Ican (International Campaign to Abolish Nuclear weapons). Con 86 paesi che hanno firmato il Tpan e 55 che lo hanno ratificato, il divieto del possesso, l’uso, e la minaccia delle armi nucleari fa parte del diritto internazionale. Sappiamo bene che gli Stati nucleari e i paesi della Nato non si sentono vincolati da tale divieto: ma è altrettanto chiaro che non lo possono ignorare, come dimostra la loro strenua opposizione fin dall’avvio dei negoziati del 2017.

Questo è un tasto dolente anche per l’Italia, che non smentisce la ben nota subalternità del nostro paese nel contesto internazionale. Già i principali media nostrani per lo più non hanno dato notizia del negoziato svoltosi all’Onu, della sua conclusione, né dell’entrata in vigore del Tpan. A livello del governo e delle principali forze politiche non sembra venire neanche presa in considerazione la possibilità che l’Italia firmi e ratifichi il trattato. Eppure l’Italia è un punto cruciale in questa questione, poiché è il paese della Nato che in base alla dottrina Usa della condivisione nucleare ospita il numero più alto delle circa 120 testate americane B-61 schierate in Europa (circa 40 dal più recente aggiornamento nella base Usa di Aviano e in quella italiana di Ghedi, operate queste ultime dalla nostra Aeronautica). Testate che, oltre tutto, sono in procinto essere sostituite con le più moderne ed efficaci B-61-12.

La ricorrenza di questo 6 agosto è l’occasione per esercitare la più forte pressione sul nostro governo perché firmi e ratifichi il Tpan: con la ricorrenza del settimo centenario della nascita di Dante dovemmo ripetere con lui: «Qui si parrà la tua nobilitate».
Il momento è veramente cruciale perché la minaccia di una guerra nucleare non solo non è tramontata, ma è resa sempre più grave dalle innovazioni tecnologiche: la fallibilità degli operatori umani ha alimentato lo sviluppo esasperato di sistemi di controllo automatizzato, la pericolosissima illusione che la macchina sia infallibile: il rovescio della medaglia è che la macchina non è suscettibile di riflessione critica e di ravvedimento, e questo può condurre al disastro.
Noam Chomsky ha detto: «Se siamo vivi è per miracolo». I miracoli non si ripetono, questo è il momento di eliminare le armi nucleari.

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