Visioni

Hiroshi Shimizu, storie da un Giappone in movimento

Hiroshi Shimizu, storie da un Giappone in movimentoUna scena da «Arigato-san (Mr. Thank You)» di Hiroshi Shimizu

Cinema Alla Cinémathèque una retrospettiva dedicata al regista nipponico con tutti i suoi 51 film arrivati fino a noi

Pubblicato più di 3 anni faEdizione del 5 giugno 2021

È in corso alla Cinémathèque Française di Parigi, dove si concluderà il prossimo 20 giugno, la più grande retrospettiva dedicata a Hiroshi Shimizu (1903-1966) mai organizzata fuori dell’arcipelago nipponico. Regista contemporaneo ed amico di Yasujiro Ozu con cui lavorò allo studio di produzione Shochiku, Shimizu rimane oggi, anche se alcune delle sue opere sono state rivalutate e riscoperte da un paio di decenni a questa parte, un autore la cui opera è ancora poco conosciuta, vista e discussa. La retrospettiva parigina presenterà al fortunato pubblico tutti i 51 i suoi film che sono rimasti ed arrivati fino a noi, purtroppo solo un terzo delle pellicole che il giapponese realizzò durante la sua carriera.

NATO NEL 1903 nella prefettura di Shizuoka, Shimizu parte per il nord all’età di diciassette anni, quando entra al liceo agrario nell’ Hokkaido. Tornato nell’isola di Honshu, lavora come proiezionista nel distretto di Asakusa a Tokyo ed in seguito entra alla Shochiku come assistente regista. Il cinema di Shimizu, semplificando naturalmente, oscilla tra due mondi, che spesso si intersecano, quello dei bambini e quello di personaggi spesso femminili in movimento nei paesaggi rurali o periferici giapponesi. Il cinema di Shimizu infatti quando è al suo meglio, è un cinema che girovaga libero, con protagonisti che si spostano da un luogo all’altro del Giappone come in una deriva. In questi spostamenti, siano essi in autobus come nel capolavoro Arigato-san (Mr. Thank You) del 1936, da un racconto di Yasunari Kawabata, o molto più spesso a piedi come in Hanagata Senshu (A Star Athlete) dell’anno successivo e con un giovane Chishu Ryu o Anma to onna (The Masseurs and a Woman) del 1938, due dei suoi lavori più riusciti, si incontrano personaggi apparentemente scanzonati e ottimisti, ma che portano con loro storie di vita difficili e ai margini.

MOLTO SPESSO a vagabondare per le strade polverose del Giappone nei film di Shimizu sono i bambini, come in un altro dei capolavori del giapponese, Hachi no su no kodomotachi (Children of the Beehive), ritratto divertente ma tragico della povertà e delle condizioni di vita di un gruppo di orfani nei primi anni dopo la fine del conflitto mondiale, lungometraggio uscito nel 1948. Sia che siano orfani in cerca di cibo e di una ragione per vivere come in Children of the Beehive, oppure bambini che deviano dalla norma in Mikaeri no to (The Introspection Tower) del 1941, o ancora bambini con disabilità in Shiinomi gakuen (The Shiinomi School) del 1955, il mondo costruito da Shimizu non è mai ad una sola tinta, ma tiene insieme toni ed emozioni diverse, tragico e divertente, fresco e pesante, pessimista ed ottimista.

BENCHÈ tutta la carriera di Shimizu sia stata punteggiata da lavori che per un verso o per l’altro hanno sempre avuto qualcosa di interessante da dire, il suo periodo d’oro viene solitamente ritenuto essere quello fra il 1934 ed il 1941, prima che cioè anche il regista fosse arruolato nella macchina propagandistica della nazione. Pessimo esempio di questo periodo e dello sguardo colonialista ed oppressivo verso le popolazioni altre è, anche se formalmente interessante, Sayon no kane (Sayon’s Bell) del 1943, girato a Taiwan nelle zone abitate dalla popolazione Atayal. Tornando al periodo d’oro per Shimizu, vanno citati almeno Minato no Nihon musume (Japanese Girls at the Harbor) del 1933, Kanzashi (Ornamental Hairpin) del 1941, ma soprattutto il già citato Mr Thank You. Film che dietro ad un tono apparentemente leggero, un autobus che viaggia lungo la penisola di Izu, porta alla luce le difficili condizioni dei passeggeri e le loro storie. Una ragazzina che è stata venduta come geisha dalla famiglia, o l’incontro, fortuito durante le riprese e integrato poi nella trama, con un gruppo di lavoratori coreani il cui lavoro sulla strada permette all’autobus di viaggiare, simbolo del rapporto Giappone imperiale-colonie del periodo. Affascinante è anche uno dei suoi ultimi lavori, Odoriko (Dancing Girl) del 1957, con una strepitosa interpretazione di Machiko Kyo e dove al posto dello sguardo che segue i personaggi in movimento come nei suoi film degli anni trenta, il movimento qui è quello della macchina da presa che oscilla all’interno di stanze, bar e teatri.

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