Hervé Fischer (1941), artista, sociologo e filosofo franco-canadese, lavora ormai da decenni a una storia sociale dei colori, cercando di porre in rilievo i legami tra l’uso dei colori e il contesto ideologico in cui questi trovano espressione. È un’impresa ambiziosa che ha portato alla stesura di un’opera divisa in due volumi editi da Gallimard: il primo, Couleurs de l’Occident: De la Préhistoire au XXIe siécle, pubblicato nel 2019, si occupa della codificazione sociologica dei colori, sviluppando un’analisi dei sistemi e dei codici cromatici nelle società occidentali in rapporto all’evoluzione delle strutture di potere. L’altro, da poco apparso con il titolo Mythanalyse de la couleur (pp. 432, € 35,00), esplora gli usi e i significati associati fin dall’antichità ai colori per spiegarne il simbolismo, ovvero la valenza da sempre manifestata attraverso i miti, le narrazioni e gli immaginari che, sfuggendo a ogni forma di trascrizione razionale, trova celebrazione nei misteri iniziatici, nella medicina alternativa, nella poesia e nelle arti, fino a diventare in epoche recenti un contrassegno di scelte individuali e stili di vita.

Se nel primo volume l’autore prendeva in esame le lunghe e complesse metamorfosi delle forme di controllo del linguaggio cromatico da parte dei poteri religiosi, politici ed economici, in questa seconda parte viene rimarcata con insistenza l’irriducibile illogicità di colori che, operando in perenne oscillazione tra razionale e irrazionale, in qualche modo sfuggono sempre a ogni tentativo di irreggimentazione. Non a caso, Fischer pone in apertura del testo una citazione di Picasso: «Prima di morire, tuttavia, mi piacerebbe sapere che cos’è il colore».

Il ragionamento di Fischer lambisce e raccorda vari ambiti disciplinari e convoca filosofi, artisti e scienziati. Vengono prese in esame le storie legate ai miti fondativi, lo sciamanesimo e le cromoterapie, la poesia e le arti visuali, le rivolte politiche e le innumerevoli espressioni della soggettività umana. È certamente un testo ricco di contenuti e, anche se si concede qualche divagazione e ripetizione, l’autore porta avanti il proprio discorso mantenendo un lessico accessibile e ricorrendo con moderazione all’uso di termini specialistici. Inevitabile il richiamo alle opere di Michel Pastoureau e di Manlio Brusatin, studiosi la cui erudizione riecheggia in entrambi i libri. Tuttavia, Fischer rivendica con enfasi quasi eccessiva la necessità di una teoria sociologica del colore, nella convinzione che in ogni cultura, in ogni epoca, il linguaggio cromatico costituisca un sistema di comunicazione che rispecchia fedelmente le strutture sociali. Il colore dipende dalle storie e dai miti di una data società – come dimostra il fatto che il bianco può essere il simbolo della verginità in Occidente e del lutto in Cina.

Insomma, la percezione dei colori è condizionata dalle ideologie, con tutte le loro contraddizioni e conflittualità interne. Se infatti «nell’ordine sociale esistono tensioni, il sistema cromatico risulterà contraddittorio. Quando invece esiste un codice cromatico ben definito che tende a cristallizzarsi, è possibile riferirlo a un impianto ideologico estremamente regolato. Viceversa, quando coesistono più sistemi cromatici tra loro discordanti, si è in presenza di una società in sé percorsa da tensioni contrastanti e trasformative». Per omologia, un evidente cambiamento nella struttura e nell’ideologia collegata al linguaggio visuale dei colori rivela necessariamente un cambiamento di paradigma nella rappresentazione che una società ha di sé stessa e dell’universo. Perciò l’evoluzione dei sistemi cromatici può rendere espliciti dissidi, ritardi o anticipazioni che sono il sintomo di mutazioni sociali in atto.
Questa relatività culturale storicamente determinata dei colori dovrebbe scoraggiare qualunque interpretazione puramente quantitativa. Sebbene i cromatologi si siano ostinati a classificare e misurare i colori secondo diversi parametri, e a restituirli graficamente in forme geometriche – cerchi, triangoli, coni, sfere e altri solidi –, «il sistema razionalista non è mai riuscito a ridurre i colori a semplici frequenze luminose quantificabili attraverso la colorimetria». In altre parole, non solo è impossibile descrivere un colore, ma l’idea stessa di poterlo fare è il segnale più chiaro dell’illusione di controllo che contraddistingue l’età moderna.

D’altronde, gli artisti hanno compreso e indagato i colori nei loro effetti inconsci, nella loro musicalità, nel loro potere evocativo e quasi magico. La medicina alternativa li considera come energie corporee; la moda, il design e la cosmesi ne sfruttano l’impatto emotivo. In un certo senso rappresentano la libertà dell’artista, dell’anarchico, dello psicotropo e, più in generale, dello sguardo umano.
In tempi recenti, sotto l’influenza dell’etica borghese e della psicoanalisi, si è sviluppata una interpretazione soggettiva del colore. L’ideologia individualistica dei colori, nata all’epoca del Romanticismo e poi radicalizzata dai pittori fauve nel 1905, si è evoluta in una confusa concezione psicologica dei colori tutt’ora dominante (una «questione di gusti»), che corrisponde in effetti a una fase di destrutturazione nella storia dell’uso sociale dei colori.

Questo disordine non poteva durare a lungo. Infatti oggi il capitalismo, la società dell’informazione, l’economia di mercato e le comunicazioni di massa concorrono alla formazione di un sistema altamente coeso ed efficiente, finalizzato a imporre un nuovo ordine globalizzato che riflette e ratifica una codificazione autoritaria del linguaggio cromatico funzionale alla logica del consumo. Ovvero, secondo Fischer, il mondo starebbe attraversando una fase di profonda ristrutturazione nella quale, per quanto si possa pensare di vivere ancora in un paradiso di edonismo individualista, la società tende piuttosto a generare meccanismi di controllo pervasivo. In questi meccanismi gioca un ruolo cruciale anche il sistema dei colori. Ciò lo preoccupa molto, perché il colore dovrebbe rimanere una libera espressione di energia vitale: in una società sempre più omologata e regolamentata, è fondamentale avere uno spazio incompatibile con una razionalizzazione matematica.

«Al di là di tutti gli sforzi di conquista della ragione, la sola esistenza e varietà dei colori, per non parlare della loro straordinaria e innegabile potenza estetica, ci rassicurano sull’irrazionalità dell’universo che è de facto garanzia della nostra libertà di uomini e ci procura un’immensa gioia».